Il privato

di Mario Bongioanni

“Nel profumo di un fiore, nel tremolìo di una stella io vedo il sorriso di ogni cosa creata”.
Questa intima professione quasi di fede, di grande ammirazione e di amore per tutto l’universo, che l’artista annotò di suo pugno sul catalogo di una mostra, testimonia, meglio di una pur approfondita analisi, della sensibilità poetica e dell’indole romantica di Giuseppe Sacheri.
Lasciando ai critici l’analisi della sua opera e la collocazione della sua statura artistica in quel preciso ambito storico di appartenenza che lo vide attore privilegiato a cavallo di due secoli pittoricamente così importanti seppure così diversi, pare allo scrivente che sia forse giunto il momento di riappropriarsi della sua figura, dalle mille sfaccettature e ineguagliabili risorse, per restituirla nella sua interezza di uomo e di artista ad onta dei tanti anni ormai trascorsi, alla memoria di quanti lo hanno conosciuto e amato.
Ma soprattutto riproporla a chi, rappresentando le nuove generazioni, abbia ancora curiosità e interesse per gli eventi, per la vita e per le opere di personaggi appartenuti certamente alla nostra cultura e anche, in qualche modo, alla nostra storia.
Mi accingo, pertanto, a tratteggiarne il percorso umano quale emerge dal cronologico succedersi di eventi, di corrispondenze, di recensioni, ma soprattutto quale si staglia da quel mondo di profondi affetti familiari, di grande rispetto e quasi di venerazione dai quali fu costantemente attorniato.
Egli nasce, dunque, l’8 dicembre 1863 sulle alture di Genova – due giorni dopo verrà battezzato nella Parrocchia Abbaziale di San Teodoro – avendo di fronte quel mare amatissimo che tanta parte avrà nella sua formazione pittorica.
Dai genitori Cesare Sacheri e Luigia Cevasco nasceranno, in seguito, il fratello Alessandro e la sorella Felicita in diverse località d’Italia ove la famiglia dimorerà, essendo il padre soggetto a frequenti trasferimenti quale alto funzionario dell’Amministrazione delle Finanze.
Il rango elevato di quest’ultimo e le nobili origini della madre, dei marchesi Cevasco, si rifletteranno indiscutibilmente sulla sua educazione, improntata a un’accentuata rigidità, che lascerà una profonda traccia nel suo animo e ne acuirà quella innata sensibilità per il bello e per il vero; aspetti, questi, che saprà magistralmente cogliere nei variegati spettacoli della natura.
Come è stato scritto nel testo precedente “I primi anni di vita”, le prime notizie più riscontrabili si hanno con il trasferimento nel 1878 a Ravenna, di tutta la sua famiglia per seguire il padre Cesare colà trasferito per svolgere la sua attività di Funzionario Doganale dello Stato. Da questa città presumibilmente nel 1880 si trasferì a Torino per seguire i corsi all'Accademia Albertina. Qui dimorò continuativamente fino al 1884, nell'abitazione di via Bottero 15 nel centro storico di Torino. Ritornato quindi a Genova, si riunì alla sua famiglia andando ad abitare in via Chighizola a Sturla, sobborgo di questa città. Nel 1889 morirà il padre Cesare Saccheri, collocato a riposo nel 1883 e insignito del titolo di Cavaliere dell’Ordine della Corona d’Italia.
Tornato a Torino nel 1891 andò ad abitare in via Basilica 5, non molto distante dalla precedente abitazione di via Bottero, e ivi si fermò fino al 1892.
Il 1893 fu l’anno del definitivo trasferimento da Torino a Genova.
Il desiderio di allargare la sua conoscenza dei soggetti pittorici lo portò a fare frequenti viaggi anche all'estero. Presumibilmente, già nel 1889 fu negli Stati Uniti dove visitò importanti città. In seguito volle estendere la sua conoscenza dell'ambiente e di paesaggi dei paesi nordici: Danimarca, Olanda, Belgio. Questi suoi spostamenti periodici durarono secondo le testimonianze acquisite fino al 1910.
Mantenne tuttavia sempre la sua residenza a Genova fino al 1903 anno di un suo primo trasferimento a Bogliasco con la famiglia e quindi uno successivo a Chiavari, fino al ritorno a Genova nel 1919.
Gli anni di Genova dal 1893 furono caraterizzati da spostamenti quasi frenetici nella stessa città: Via Albaro, quartiere elegante della città, vico Gazzella nel centro, quindi ancora ad Albaro, via Parini e poi nella villa Dietsch sempre ad Albaro.

Furono questi, certamente, anni per lui magici e nei quali si ebbe il culmine della sua arte che raggiunse livelli eccelsi, sottolineati da una critica sempre esigente, talvolta anche un pochino pretenziosa e spesso assai intransigente, ma soprattutto, e penso che per un artista sia la soddisfazione maggiore, incontrando sempre il grandissimo favore e l’apprezzamento di un pubblico preparato, partecipe ed entusiasta.
Furono anche gli anni della sua piena maturità umana, oltre che artistica, e, come vedremo nel prosieguo, vi si avvicenderanno accadimenti di varia natura, ora tristi ora lieti, com’è del resto normale nel “tourbillon” della vita, che andranno ad arricchire la sua sfera privata, apportando ulteriori stimoli ed incentivi anche alla sua creatività artistica.
Accadde probabilmente nel 1901, che Giuseppe Sacheri conobbe ed iniziò a frequentare Maria Mejnero, la sua futura moglie - trascritto poi nei successivi trasferimenti di residenza, in Mejneri - sorella del pittore Guido Mejneri molto noto a Genova, e che tra l'altro frequentò anche lui l'Accademia Albertina, circa nello stesso periodo in cui la frequentò il Sacheri.
La testimonianza dell'inizio della conoscenza e della frequentazione con Maria Mejnero si ha dalle prime lettere scambiate tra loro. Maria Mejnero nata a Porto Maurizio viveva al tempo con i suoi famigliari a Mondovì Piazza in via Vico.
Quale miglior veicolo, per coglierne i più reconditi aspetti interiori, di affidarsi alle sue stesse espressioni quali sgorgano spontanee, accorate e rese sublimi da un profondo sentimento d’amore, dalla fitta corrispondenza intercorsa – nel volgere di pochi ma intensissimi anni – con colei che diverrà sua dilettissima sposa.
Dunque, nei primi scritti si coglie il senso del crescente disagio che provava per la vita di città e l’anelito, invece, a vivere in un paesino di mare o di campagna. Vi è pure un accenno alle località del Monregalese che diverranno a lui vieppiù care e familiari.

(lettere da Giuseppe Sacheri a Maria Meynero - Mondovì) Genova, 7 sett. 1901

Gentilissima Signorina Maria,
Le scrivo per avere il piacere di trattenermi un poco con Lei dopo giorni intieri trascorsi insieme (anche ore 24 filate a Montaldo e Mondovì); il brusco distacco fa sentire maggiormente la bontà delle compagnia perduta.
Dunque sarebbe bene che io avessi il permesso di scriverle qualche volta. Ella potrebbe, volendo, anche rispondermi, senza però mettere quel glaciale "professore", e chiedermi schiarimenti circa il lavorare dal vero.
Così mi parrebbe di essere ancora costì e studiare con lei i toni delle querce robuste e dei salici delicati nella piana verde e tranquilla.
Replichi alcuni degli studi già fatti, così avrà più pronto alla memoria il procedimento, la famosa preparazione che Lei si ostina a non capire abbastanza.
Faccia pure con tranquillità disegni, contorni di alberi, profili di paese, ecc.
Almeno un centinaio prima del freddo.
Oggi andrò anch'io a fare uno studio verso questa montagna, il sole è sfolgorante, ed io, forse perché ho scritto a Lei, sono più contento.
Con una cordialissima stretta di mano mi creda sempre sua,

Dev.mo G. Sacheri


Genova, 11 Sett. '901

Signorina Maria,
Io La ringrazio del tacito permesso di scriverle che trovo nelle sua lettera gentilissima e non Le so dire di quanto compiacimento s'illumini l'anima mia in questa nostra corrispondenza serenamente affettuosa.
Qualche volta succedono, al vario turbinare delle vicende, momenti di sosta nei quali si incontrano persone amiche che con la loro bontà vi rasserenano e vi fanno amare la vita.
Ciò è successo a noi nel mese rapidamente scorso costì ed in noi è grande la gratitudine verso di loro.
Non tema che io mi possa scordare di Lei, ne parlo sempre con mamma e sorella che pure l'amano, e lascio sempre viaggiare la fantasia nei recenti ricordi.
Trovo molto più bella la passeggiata di Montaldo che quella di Mondovì, perché durante questa vi era ancora tanta nebbia che mi celava il vero, nebbia che più non esisteva sotto il plenilunio che ci accarezzava sulla strada di Torre S.Michele - Santuario.
Qui oggi piove a dirotto, io interrompo quel lavoro di commissione che ho principiato, per scrivere a Lei.
Penso che forse pioverà anche a Mondovì e mi par di vederla a guardare l'acqua rimbalzare sulle foglie verdi del loro giardino.
Penso che Lei pure lascierà correre la mente nelle nostalgie dolci dei ricordi. Ricordi di cose che si ripeteranno come il sole si alterna alle nubi.
Tanti affettuosissimi auguri per Domenica che è il suo onomastico ed una cordialissima stretta di mano.

G. Sacheri


Genova, 6 Ott. '901

Gentilissima Signorina,
Passa un nuvolo grande davanti al sole e scrivo qualche parole triste e dolente.
Sono in un momento di grande antipatia verso la vita cittadina e se non fosse per il bene che voglio a mamma e sorella fuggirei in qualche paesino in riva al mare o in qualche campagna.
La vita in questo ambiente, tutto così saturo di commercio, è stranamente spostata per un artista, ed io ne sento uno scoramento ora accentuatissimo, e del quale non so darmi un'esatta ragione
Certo una causa forte è la poca fortuna avuta in questi ultimi anni della mia produzione artistica.
Avversità morali e materiali forse non totalmente meritate.
Il nuvolo è passato e torna la luce e con essa la speranza, ed una visione più serena degli uomini e delle cose.
Però anche così col sereno la città mi pare sempre cupa e piena di tristezza pur sotto il sole giocondo.
Io scrivo giù rapidamente quello che a caso esce dal cervello balzano, quindi mi scusi se in questa mia vi è poco e poca coerenza.
Lei fa dei disegni di paesaggio?
Si rammenti, molte volte davanti al vero, non stabiliva prospetticamente giuste le varie cose. Questo sarebbe anche un esercizio che Ella potrebbe fare col freddo . Bella pretesa!
Oggi porteremo la Mamma al porto.
Bagni, stante il tempo cattivo non fu possibile farne altri.
Un saluto affettuoso di mamma e sorella ed un stretta di mano

dall'aff.mo suo G. Sacheri


Dalla fine del 1901 al 1903 la corrispondenza di Sacheri con Maria Mejnero si intensificò come anche le visite che il Pittore fece a Mondovì, alla amata Maria, nel corso di questi anni.
Procedendo poi nel suo felice rapporto d’amore, Sacheri escogita un modo assai originale per rivolgersi alla sua diletta, mettendo così a nudo i lati più nascosti del suo carattere. Introduce un io narrante, un alter ego come lui stesso lo definisce che, con lo pseudonimo di “Cherias” (ottenuto anagrammando il nome di Sacheri), intrattiene la prossima sposa con svariati e delicati argomenti.
Ecco spiegato, allora, il mistero di quella serie di disegni che – come si è già avuto modo di vedere – l’artista esporrà a Genova con la firma, appunto, di “G. Cherias”.

(lettera da Giuseppe Sacheri a Maria Meynero - Mondovì.
Genova, 28 Agosto 1903

Preg.ma Signora Maria Sacheri,
Permetta che precorrendo di pochi mesi gli eventi, La chiami così, un devotissimo quanto ignoto amico suo, ed un intimo, anzi un "alter ego" di Giuseppe Sacheri.
La firma che chiude la presente non è ignota a suo fratello Guido, al quale Ella può rivolgersi per informazioni.
Dunque l'amico mio fu in questi giorni a Sori, Pieve, Bogliasco ed ebbe la fortuna di trovare in quest'ultimo paese un piccolo alloggio lindo ed allegro.
Lo fece vedere a sua mamma ed a sua sorella e quindi lo fissò.
L'appartamento si trova al terzo piano dopo brevi scale di marmo pario, guarda verso mezzogiorno, levante e ponente, da questi due lati vede il mare. E' rimesso completamente a nuovo, ha due terrazzi ed acqua in abbondanza. Il Sacheri me lo descrive con i più lusinghieri colori (sfido è un pittore) e lo definì: modestissimo, ma nitido e ridente.
Ora che ho detto quanto mi ha narrato circa le sue gite nei vicini paesi di Levante, permetta che parli brevemente di Lui; certo ne parlerò con visione troppo ottimista, ma Ella faccia la tara dell'amicizia.
Il Sacheri è individuo leggermente anormale per il contrasto tra un'aristocrazia o meglio una raffinatezza a volte morbosa di sentimento e la materiale volgarità delle quotidiane vicende ed i quotidiani rapporti con gli individui della specie.
Ed in maniera anormale egli ha fissato chiudendo gli occhi su tutto ciò che è bellezza e piacere per gli altri , per spaziarli per campagne, per mari e cieli profondi.
Ciò non tanto per assorbente passione d'artista quanto per il sentimento di pace e di libertà che a lui infonde la comunione con l'anima delle cose.
I grandi alberi sono per lui molto belli; divino è il sole che li ammanta di luce, ma quando questi alberi sono un poco lontano dagli uomini hanno (per lui) un fascino strano di bontà; sente solo allora gratitudine per la vita e prostrato adorerebbe. E' forse in lui l'anima di una lepre o peggio di un bandito o semplicemente di un arcade belante alla luna?
E la dolorosa voluttà di vedere in ogni cosa il lato beffardo pur avendo l'anima piena di entusiasmo e di fede, non è segno di spirituale e materiale perturbazione?
Fortuna che egli serra in sé il fiotto amaro del pensiero cattivo e la parola suona buona e gentile…….. Con una visione così poco naturale della vita egli naturalmente non apprezza, né stima, il denaro. Questa poi, ai tempi che corrono, è una vera stupidaggine e sarà suo stretto dovere, Signorina Maria, di farlo cambiare d’opinione in proposito. Giudica, il Sacheri, uomini e fatti troppo impulsivamente, ma se sbaglia si ricrede e, questo è vero, vede più la trave dei propri errori che il bruscolo dei falli altrui. Aggiungerei ancora tante cose se non temessi di spaventarla o, se Ella è coraggiosa, semplicemente di annoiarla. .
Con il più profondo rispetto Le bacio la mano e me Le professo

Dev.mo servo G. Cherias


Seguono altri scritti in cui il rimpianto per i giorni estivi trascorsi alla Balma (ricorrente e splendida località montana del Monregalese frequentata con la sua Maria) si traduce in un pezzo di vera poesia, nostalgica e dolente. Vi è, poi, la fervente attesa di abitare con la sposa quell’alloggetto preso a Bogliasco che “il sole entra tutto il giorno a rallegrare” .
Si alternano, ancora, un’intromissione di quel “Cherias” che, quasi in funzione del grillo parlante di Pinocchio cerca di mettere sull’avviso la gentile interlocutrice della vera natura del Sacheri, con alcuni deliziosi quadretti che così bene descrivono quell’accogliente nido ormai pronto nel paesino rivierasco e con altre scarne notizie di trattative per la vendita di quadri.

Genova, 3 Settembre 1903.

Dalla mia finestra veggo la collina di Albaro con i fastosi palazzi tra le ville inebriate di sole e, per contrasto, rimpiango le umide brume della Balma…….I rododendri crepitavano allegramente nel focolare, quasi rituale sacrifizio mattutino. Ora la fonte canterà ancora la canzone di sua giovinezza gioconda, ma la Chiesuola sarà chiusa e dimenticata. Ma non è triste il ricordo di un passato che si ripeterà pur avendo variazione di ambiente. Qui sarà il mare, o diletta, che ci sorriderà con le calme dilettose o ci entusiasmerà con la violenza delle sue collere; mostruosa immagine dell’anima umana.


Bogliasco, 25 Settembre 1903.

I miei pensieri affettuosi volano costì senza passare per la buca delle lettere e senza recare sulla busta che li dovrebbe racchiudere la stampiglia dell’effigia reale. Certo che scritti perdono in bellezza ciò che acquistano in materialità……..In questa serenità di cielo e di mare ho rasserenato anche l’anima mia, avvolta sovente di nebbie come certe cime attorno alla Balma………Il sole entra tutto il giorno a rallegrare il nostro piccolo alloggio, ma presto verrà un altro sole, di un sistema planetario ignoto agli astronomi tutti…….


Sul finire del mese di settembre è poi ancora “Cherias” a farsi vivo, ponendo in evidenza una certa stravaganza, a suo dire, del suo amico Sacheri, ma in realtà è una precisa disamina ed esposizione di propensioni, di gusti, di orientamenti che abbracciano la sfera personale e morale dell’artista.

Bogliasco, settembre 1903.

Il mio amico Sacheri è veramente un tipo stravagante, si figuri che tranne a un amico, non ha comunicato a nessuno il suo divisamento riguardo a Lei e neppure i parenti sono a giorno di nulla.
Egli dice che quando verrà, dopo il matrimonio, qualche parente od amico a casa, dirà loro semplicemente: a proposito ti presento la mia Signora!…….Desiderio motivato solamente e unicamente dall’aborrimento di pubblicità per le intimità dell’anima. E’ tanto facile, in queste circostanze, urtarsi con tante piccole volgarità disgustose!….Le banalità si sfuggono chiusi in un’aristocrazia di semplice silenzio. Egli desidera la massima semplicità possibile in tutto e, potendolo, preferirebbe tacere al dire parole superflue. Preferisce l’abito per signora semplicissimo e serio ad altro sfarzoso. Mi spiego meglio, egli pensa che l’apparenza esteriore debba essere in rapporto, in armonia con ogni singola posizione finanziaria. Ella dirà che è difficile che succeda altrimenti, pure tutt i noi meridionali ostentiamo, in certe condizioni sociali (per debolezza di razza?) una falsa agiatezza.
Badi che io parlo di queste cose per il puro piacere di intrattenermi con Lei di argomento interessante, che so benissimo quanto sia Ella semplice e sincera nella praticità della vita.
Scendendo (o salendo?) a confidenze più intime, Le dirò che l’amico mio odia quell’arnese di tortura, che solo il lungo uso rende sopportabile, che chiamasi busto; ora si può facilmente surrogare con cose!? più igieniche e razionali; trova invece belle quelle giacche corte, uso uomo (saranno poi di moda?).
Ma ora io le discorro di cose che farebbero stizzire il Sacheri se sapesse che le scrivo a suo nome. Salendo davvero a cose più alte, può interessarle assai di sapere le opinioni politico-religiose del mio amico. In politica propende molto ad essere Tolstoiano, sente un’ardente aspirazione ad un più giusto equilibrio della povera razza umana; in religione è un idealista che crede, ma pensa menzogna tutto l’orpello, le chimere, le esteriorità di una religione che dovrebbe essere solo il vangelo del bene. Però è rispettoso di ogni persona e solamente con gli amici più cari discorre di cose così gravi e complesse.



Fa seguito, poi, una lettera di fine ottobre in cui il pittore, immelanconito da una visita in una località resa uggiosa dal tempo piovoso e da un ambiente umano a lui non proprio congeniale, prende ancora una volta lo spunto per tessere le lodi della campagna (e qui il suo rimpianto va sempre a quei luoghi del Monregalese che sono entrati oramai prepotentemente nel suo cuore) e richiamare, una volta di più, il taumaturgico effetto dei “boschi di castagne e dei grandi alberi”
Il 1° di Dicembre, sempre da Bogliasco, entra nuovamente in scena “Cherias” e questa volta si rischia davvero grosso. Nella missiva, infatti, si calca la mano (artatamente e, forse, per mettere alla prova la destinataria) sulle presunte manchevolezze e negativi lati caratteriali del Sacheri, sul suo scarso o nullo pragmatismo, sulla precarietà – anche economica – della sua condizione di artista, sulla sua – infine – completa inaffidabilità per impostare una comune vita a venire.
Se non che i suddetti contenuti vengono equivocati dalla controparte che li interpreta, invece, come una intervenuta volontà, da parte dello scrivente, di interrompere la relazione.
Vi sarà dapprima un silenzio greve, poi una risposta alquanto piccata, una controrisposta chiarificatrice e, quindi, verrà definitivamente sgombrato il campo da ogni equivoco e si procederà con un legame ancora più saldo.
Tornato il sereno esce definitivamente di scena “Cherias” (questo nome non lo useremo più, altro che parlando di cose e di interessi d’arte, dice lo stesso artista in una lettera successiva), mentre la corrispondenza, di qui in avanti, sarà di un tenore più pratico, improntato alla cura e alla predisposizione delle ormai vicinissime nozze.
Tratterà di fissare il calendario dello sposalizio in Mondovì – il cui giorno coinciderà curiosamente con l’inaugurazione di un evento espositivo in Genova – e, così, con un affrettatissimo rientro a Bogliasco transitando per il capoluogo ligure di domenica, in modo da consentire una visita del pittore all’esposizione summenzionata.
Da notare che la promessa sposa si dimostrerà d’accordo – a questo vero e proprio tour de force coniugale – e solo si ribellerà, su consiglio anche del padre, al programmato pernottamento a Ceva, considerata località geograficamente mal posta e soggetta a nebbie che potrebbero immelanconire i novelli sposi!!
Si prosegue, quindi, con una dissertazione sulla scelta del testo più opportuno per le partecipazioni di matrimonio, ove tutto sa di grande e naturale semplicità e di poca propensione ad apparire.

……Tentiamo di trovare altre partecipazioni:
“ G.S. e M.M. partendo sposi per il Tirreno azzurro salutano lietamente”. E’ troppo poetico per un bandito!
Un’altra:
“G.S. e M.M. oggi dissero un si che li renderà sposi. Salutando annunciano”.
Facciamola formale:
“Il Prof. D. Meynero annuncia l’avvenuto matrimonio ecc.”
“La Marchesa Luigia Cevasco ved. Sacheri annuncia ecc.”
Bada che dico per celia!
Ancora:
“G.S. e M.M., uniti oggi in matrimonio colgono la lieta occasione per presentare rispettosi saluti”.
Più brevemente e meglio:
“Nell’occasione del loro matrimonio G.S. e M.M. lietamente salutano”.
“Nel giorno dei loro sponsali G.S. e M.M. lietamente inviano saluti”.
Se ne potrebbe trovare di stravaganti, ma la stravaganza non è in questo caso opportuna e non s’accorderebbe con la nostra semplicità.
Insomma fai stampare quella che meglio ti torna, perché io, per mia parte, ne manderò appena mezza dozzina.
Dimmi un poco, i bauli fai conto di spedirli prima o dopo il 12?
Io non porterò che la sacca da viaggio; meno impicci avremo sarà meglio.


Vi è, poi, una notazione sulla cena del giorno di nozze, dovendo anch’essa soggiacère a quell’atmosfera di universale modestia, ma anche di superiorità intellettuale.
Conclude la lettera del tre dicembre, ed è una nota curiosa, la richiesta indirizzata alla promessa sposa di intercedere presso il babbo perché predisponga l’invio, a Bogliasco, di un cappone! (perché introvabile in quella località e molto caro in altre) che dovrà impreziosire la mensa in un convivio che si terrà il giorno otto di dicembre (che, non detto, è però il giorno in cui ricorre il genetliaco dell’artista).

Il 1903 fu quindi anno denso di avvenimenti importanti sotto l’aspetto familiare e, direi, essenziali proprio nel suo più stretto ambito personale. Nel mese di settembre, infatti, vi fu il trasloco da Genova a Bogliasco nel nuovo alloggio di piazza della Chiesa n.13 ove abitò insieme a mamma e sorella; quest’ultima sposò poi, nel successivo mese di ottobre, un collega insegnante elementare e andò ad abitare a Genova. Ma il vero clou si ebbe nel mese di dicembre quando Sacheri sposò, nella chiesa di Santa Teresa in Mondovì, Maria Meynero, sorella del pittore Guido Meyneri, continuando con lei ad abitare nell’alloggio di Bogliasco insieme alla mamma.
Inutile dire che si trattò di scelte foriere e apportatrici di beni unici ed inestimabili; la moglie
Maria sarà da allora, infatti, sua compagna preziosa e inseparabile (rinunciando anche, per lui, ad una sua apprezzabile vena pittorica), ma anche sua amorevole consigliera e critica, sua sostenitrice entusiasta e anche……ministro delle finanze di casa! Seppe condividerne ogni momento della vita, sempre venerandolo e proteggendolo da ogni avversità, da ogni pur piccola contrarietà che potessero, in qualche maniera, minare o scalfire quella sensibilissima e originale indole d’artista che, infaticabile, continuerà a trasporre sulla tela, sino all’età sua più tarda, le ineguagliabili sensazioni che era capace di trarre dalla contemplazione di ogni spettacolo della natura. Fu veramente un binomio unico, indissolubile e creatore di bellezza oltre che di affetti e sentimenti irripetibili!!

L’avvenimento più importante dell’anno 1904 è certamente la nascita del figlio primogenito Aldo.

Anche il 1906 si apre con il fausto evento della nascita di Elda, la figlia secondogenita, colei che tramanderà, conservandolo gelosamente in cuor suo durante l’arco di tutta la sua nobile esistenza, un grandissimo amore nei confronti di quel papà tanto speciale e un’estasiata venerazione verso l’artista che era in lui, così grande seppur così schivo.
Parlavo, non a caso, di scelte perché anche quella di Bogliasco fu certamente presaga di opere pittoriche tra le sue più lodate e mirabolanti. Con la raffigurazione di quel mare ove si trascolorano vibranti le magiche cortine delle case che in esso si riflettono tremule, di quei cieli soffusi d’azzurro od offuscati da tempeste improvvise, egli ha infatti saputo fermare sulla tela l’eterna bellezza policroma e incantata, quasi irreale, di questo straordinario angolo di Liguria.

Il 1907 apporterà invece una grande tristezza con la morte, nel mese di giugno, della mamma che verrà sepolta nel Cimitero di Staglieno, a Genova, accanto al marito. E già si ha la percezione di tale luttuoso frangente da un biglietto spedito da Torino, il 30 gennaio dello stesso anno, dall’amico pittore e insigne scultore casalese Bistolfi, il quale così si rivolge a Sacheri:

” Carissimo, Ebbi care le tue parole che mi confortarono della tua assenza e te ne ringrazio con tutto il cuore. E con tutto il cuore spero ed auguro che la salute preziosa di tua Madre sia quale l’amor tuo e la mia antica amicizia la desiderano. Ricordami e voglimi bene. Il tuo Bistolfi.”
In data 17/11/1913 Sacheri e tutta la sua familia, trasferisce la residenza da Bogliasco a Chiavari in via S.Chiara n. 8 (ora n. 17) che mantiene fino all'11/2/1919. La sua permanenza a Chiavari corrisponde al periodo della Prima Guerra Mondiale.
Per generosa iniziativa del Sacheri, una Mostra dei suoi quadri sarà tenuta nel Salone del Palazzo Civico nella città di Chiavari, a favore della Croce Rossa e della Assistenza Civile.
Tre pregevolissime tele furono da lui offerte per formare oggetto di lotteria. Al Comune di Chiavari donò un quadro che è esposto tuttora nella Sala della Giunta dello stesso Comune
Nel febbraio del 1919 rientra a Genova con la familia e torna ad abitare sulle alture di Albaro.
In questa città viene rieletto membro del Consiglio Direttivo della Società di Belle Arti.

La guerra non ha fermato l'attività pittorica di Giuseppe Sacheri, ed ora nella sua Genova, continua infaticabile nel dedicarsi alla pittura, nel partecipare a mostre in Italia e all'estero. Anche negli anni 1920 e seguenti, giunto ormai alla soglia dei sessantanni, vede Sacheri sempre impegnatissimo nella sua intensa attività, oltre che rivestire cariche onorifiche e pubbliche, rivelatrici della stima e considerazione con le quali sempre più si guarda a lui nel mondo artistico dell'epoca.

E veniamo al 1927 che sarà l'anno tra i più significativi, nella vita dell’Artista, soprattutto per la sua scelta di lasciare Genova e trasferirsi, nel mese di giugno, definitivamente a Pianfei, un comune rurale tra Cuneo e Mondovì. Scelta che potè certamente apparire, ai più, come inopinata e sicuramente poco fruttuosa sotto l’aspetto artistico.
Cosa poteva, infatti, indurre un pittore di marine dalla fama ormai consolidata in campo nazionale e internazionale, ad abbandonare la sua Genova, la sua Riviera, per stabilirsi in una sperduta borgata agricola della provincia di Cuneo? Certamente il richiamo dei luoghi, che già ben conosceva ed amava, avrà avuto la sua parte: quella campagna umile e quieta nella sua apparente semplicità, ma che sapeva ammantarsi di straordinari colori e di atmosfere così diverse al suo mutare stagionale, avrà di sicuro attratto l’artista, alla infaticabile ricerca di nuove e coinvolgenti sensazioni.
Se si considera, poi, come un certo appagamento possa averlo colto, insieme con un’indubbia stanchezza per quella vita fino ad allora così freneticamente vissuta tra mostre, viaggi e trasferimenti da una località all’altra, e se a tutto ciò si unisce l’incalzare inesorabile di quei nuovi fermenti artistici che aveva apertamente combattuto sino dai tempi del movimento “Chiaro di Luna” e che venivano a intaccare quei canoni classici di verità, di bellezza e di poesia, dei quali era stato superbo e intransigente interprete, nonché propugnatore per tutta la vita……..ecco, allora, che non essendo tipo da compromessi di sorta, preferì quell’agreste romitaggio che gli avrebbe almeno garantito una tranquilla e serena vecchiaia.
Bisogna anche aggiungere che una spinta notevole a quel trasferimento la diede sicuramente il figlio Aldo che, amante della natura come il Papà, aveva una predilezione per quel luogo e per la vita in piena libertà. Vi era da sempre, infatti, una disputa tra lui e la sorella di Aldo, che già era poco propensa a prolungare la permanenza a Pianfei oltre il periodo estivo, figuriamoci a sentir parlare di stabilirvisi definitivamente! Così, quando ella sposò, il 22 gennaio dello stesso anno, andando ad abitare a Milano, il fratello ebbe via libera per convincere i genitori a compiere il grande passo.
Da notare che lo zio Aldo, dopo cinque anni trascorsi tra quella vita un po’ “ bohemiènne” (che se ben si addiceva a un artista non poteva certo corrispondere a tutte le aspettative di un giovane) e l’intima aspirazione ad un modo di essere più consono a quella sua indole libera e poco incline alla routine giornaliera, decise di lasciare l’Italia per cercare l’avventura nella lontana America del Sud.
Fu dapprima in Venezuela, poi in Colombia e infine in Ecuador, dove trovò moglie, con alterne e scarse fortune, mentre ciò costituirà indubbiamente un motivo di grande tristezza per i genitori e la sorella che non lo vedranno più rientrare in Italia.


Ma torniamo a quel trasferimento che dovette cambiare completamente la vita dell’artista e che il nipote Mario ebbe modo di commentare, con queste semplici espressioni, in un precedente ricordo del nonno e di Pianfei, che fu pubblicato sulla rivista “Cuneo Provincia Granda” dell’agosto 1983: “(…….)Occorre innanzi tutto premettere, perché qui sta il nocciolo e l’essenza di tutto quanto segue, come parecchi anni prima che io nascessi (subito dopo l’evento della grande guerra, addirittura!), questa tranquilla plaga del Cuneese, in allora remota oltre ogni dire, fosse stata prescelta, quale temporanea alternativa alla rappresentazione pittorica delle vaste distese marine della natia Liguria, dal nonno materno Giuseppe Sacheri.
Dapprima presenza saltuaria, limitata a cogliere gli aspetti naturali legati all’evolversi della stagione estiva in quella festa di luci, colori e sensazioni in cui l’ autunno trasfigura la campagna, divenne, quella in Pianfei, con il passare degli anni e col naturale affievolirsi della insopprimibile esigenza artistica di ricerca di sempre nuove visioni creative, una permanenza, da parte dei nonni, sempre più insistita e, quindi, stabile definitivamente.
Si creò, da allora, un rapporto di sublime comunicazione, ininterrotto per svariati lustri, tra la natura apparentemente semplice di quei luoghi e chi, per innata sensibilità artistica affinata da studi, prima, e da una continua ricerca di perfezionamento, poi, seppe coglierne ogni più recondito aspetto e tradurre in forme e colori, le infinite sensazioni che l’animo traeva da un’assidua contemplazione di fenomeni e spettacoli naturali, colti attraverso la luce ed il filtro di un commosso sentimento (incline talvolta ad una vena di malinconia!) e con l’impronta, sempre, di un amore smisurato per il vero e per il bello.
Fu, il suo, un rispetto profondo per tutto il creato, che si estrinsecò anche nei rapporti con chiunque ebbe modo di conoscerlo.
E’ immaginabile come, inizialmente, possa aver destato una certa curiosità, se non vera e propria diffidenza, il fatto che il “Prufesur” (che come tale era conosciuto per essere, in effetti, professore di accademia), avesse potuto abbandonare Genova per trasferirsi, con tutta la famiglia, in una borgata di campagna, senza nessuna comodità, in allora e, per di più, avendo il “dipingere” come unico sostentamento!
Col passar del tempo divenne, invece, per tutti una bella consuetudine di incontrare quella figura così diversa e gentile, nell’impeccabile eleganza della persona, durante le sue interminabili passeggiate, o di sostare qualche attimo presso il suo cavalletto per ammirare, con stupefatta riverenza, il paesaggio che si andava delineando sotto i sapienti tocchi di colore che sapeva trarre dalla tavolozza.
Penso che dovette subentrare, anche, un moto di orgoglio, per la predilezione accordata a quell’angolo di campagna e non ad altri! E, poi, le vedute di Pianfei avevano, così, modo di far bella mostra di sé nelle case dei “medici”, degli “avvocati”, dei “notai” che già allora salivano in borgata con l’ “automobile”, e senza contare che figuravano, anche, nelle esposizioni di città lontane, nei musei, persino in America!
….................


Un ulteriore documento degno di nota, perché scritto da Alice Galimberti moglie del Senatore e madre di Tancredi, “Duccio”, che diverrà un eroe della “Resistenza”, è un articolo della stessa, che vedremo in seguito stringere una cordiale amicizia col pittore, pubblicato, il 13 ottobre 1927, sul quotidiano di Cuneo “La Sentinella delle Alpi”.
In esso vi è testimonianza, oltre che dell’innegabile talento dell’autrice, anche della bellezza, della genialità, del senso di pace che emanano da quella casa che il pittore ha allestito, con l’aiuto della moglie Maria e con grande buon gusto e originalità, e ove abita da pochi mesi in quella serena oasi di Pianfei da lui prescelta e amata:

Sentinella Delle Alpi. Quotidiano di Cuneo
L’oasi della bellezza.
Chi, con queste luminose giornate ottobrine che per la trasparenza dell’aria e lo svariar delle fronde dànno la sua piena ricchezza di forme e di colore al nostro paesaggio prealpino abitualmente un po’ piatto, prenda la strada di Mondovì, trova, a mezza via tra Pianfei e Chiusa, lo studio del pittore Sacheri.
Genovese di nascita, l’artista, ch’è un poco anche della “provincia granda”, sia per la parentela col nostro Meinero, sia per la lunga consuetudine di soggiorni estivi, ha quest’anno (quando pel matrimonio dell’unica figlia, la sontuosa abitazione di Lido D’Albaro gli parve, come al vecchio Cosimo, “casa grande per piccola famiglia”) trasportato nella casetta piemontese i suoi penati.
Una mano amorosa e sapiente l’aveva, sulle sue direttive, precedentemente trasformata. Tappezzerie e mobili giunti dalla Superba, vasi di forme antiche, dipinti suoi propri e di colleghi illustri, come Lodovico Cavaleri, dànno vita e calore alla saletta a volticelle, con i due gran finestroni ad arco che le prestano quasi l’aspetto d’una cabina di mare, e l’inondano di fiotti di sole. Di là, nello studio, le tele più in vista ci avvertono subito che siamo nel sacrario del ligure che chiese al nativo mare i massimi trionfi; cospicua tra esse quella destinata alla seconda Mostra d’Arte Marinara in Roma, rappresentante un gruppo di girasoli in primo piano lungo una marina, vista di sfuggita in viaggio, nei cui mossi frangenti verde-azzurri seppe infondere l’indefinibile senso di desiderio e di nostalgia che stringe il cuore a chi rapidamente procede in treno lungo le spiagge tirrene.
Dacchè l’arte del Sacheri è tutta una visione di natura trasfigurata da un temperamento poeticamente ricettivo, lo dicono gli infiniti cartoni da lui definiti “sensazioni”, piccoli quadretti eseguiti ad olio su una preparazione di carta speciale, in cui a mente calma, con luci prevalentemente serotine, ricerca paesi visitati e osservati con amore. E sono lidi d’Olanda ricordanti i famosi canali e mulini del Delleani cantati dall’amico Camerana, e visioni di Danimarca dalla tinta tanto rosata nel tramonto, da ricordare quasi certe impressioni di Venezia; strade nevose dell’Alpe nostra a notte, e paesaggi fantastici dalle luci lunari, dalle onde cupe e dalle figurine flessuose che fanno sognare le ondine germaniche o certi paesaggi del Boeklyn.
Stagni pigri dai maligni riflessi verdastri e sanguigni, profondi burroni limitati da un orizzonte brevissimo in iscorcio audace, e poi meli fioriti a primavera e prati tutti uguali con due pioppi rossastri nella quiete autunnale, rivelano a volta a volta la ricca tavolozza del pittore, la sua smania di strappare alla Natura il verace aspetto. Più fuso nelle tinte che il Delleani, più melanconico dell’Olivero, il Sacheri ha una tecnica tutta sua, non comparabile negli effetti con quella dei due paesisti piemontesi. Ma certe tinte quasi fredde, la nebbietta fine che vela alcuni gruppi di alberi, mostrano l’influsso di questa nostra terra che insegna la finezza e direi il riposo dell’occhio avvezzo al calore dei paesaggi più tradizionali.
Ogni tanto uno sprazzo più vivo – una “Primavera Ligure” tutta freschezza, la gran tela del “Tramonto a Camogli”, le case sul lido di “Bogliasco” – pare porti una ventata salsa di mare a chi l’ama. Sogno e realtà si fondono e si completano in questa lunga serie d’opere di un lavoratore indefesso, cui bastano le ore del mattino per arricchire di mese in mese, di anno in anno il suo tesoro e il suo tormento di vita.
Poiché in tutta sincerità e senza ombra di posa egli parla del “verme roditore” di cui già si doleva Enrico Heine: l’aspirazione eterna al Bello e l’incontentabilità dell’artista, che faceva esclamare persino al divino Michelangelo: “Avrei fatto meglio a fabbricar zolfanelli!”
“Non ch’io sia malinconico”, aggiunge col suo ligure senso del reale, “mi godo il sole e il cielo e questa solitudine tanto atta a far dimenticare gli uomini…..non le donne”, aggiunge galantemente, rivolto ad uno sciame di dilettanti, che gli hanno invaso lo studio e glielo riempiono di gridi di gioia e di sospiri d’invidia. Le ore passano rapide nella conversazione geniale del “genius loci” e della gentile sua signora, degna compagna e anima d’artista ella medesima; ed all’uscita dalla piccola casa, cui il cortile rustico dà un facsino autunnale tutto suo, il vespro d’oro tra le cime aeree, il sole che si incastra tra due profili acuti dell’Alpe, la luna che poco dopo investe l’ampia vallata del Pesio della sua luce diffusa, sembrano dar voce all’”Alma Mater” nell’ammonimento eterno: “Guardate come, sotto ogni cielo, ad ogni istante sono bella, purchè sappiate vedermi con occhio puro e intelletto d’amore”.

a.g.


Vi è, poi, una serie di brevi scritti, destinataria sempre la signora Alice Galimberti, dai quali emerge anche qualche fatto attinente alla sfera familiare del pittore: la richiesta di un passaporto per il figlio Aldo, la visita a Milano nel mese di maggio per conoscere, si presume non essendo detto espressamente, la prima nipotina, Marisa, data alla luce dalla figlia Elda:

Pianfei 26 Aprile 1928.

Illustre Signora,
Sarò ben lieto se domenica nel pomeriggio avrò il piacere di rivederla e di discorrere un poco nel natio dialetto col suo signor marito.
Se arrivano dalla Chiusa io mi troverò sul loro cammino così verranno senza noie allo studio; ad ogni buon fine l’indirizzo è: Borgata Ambrosi – Pianfei.

Dev.mo G.Sacheri.

Pianfei, 4 Maggio 1928.

Illustre Signora,
Mi faccio un dovere di avvisarla che domenica 6 corrente sarò a Genova: ciò per evitare la possibilità di una gita infruttuosa. Ma: “quod differitur non aufertur” e spero che in qualche ventura domenica, piena di sole, avrò l’onore della loro visita.
Col massimo ossequio.

Dev.mo G.Sacheri.

Pianfei, 6 Agosto 1928.

Illustre Signora,
Avendo dovuto ospitare diversi parenti sono rimasto a Pianfei. Le sarò ben grato di una sua visita al mio studio che ora è ricco di molti lavori. Sarà però bene che Lei si compiaccia di avvisarmene perché non si dia la combinazione che io sia per campagna.
Ossequi a Lei e Suo signor marito.

dal dev.mo G.Sacheri.



E’ invece del 22 giugno una cartolina proveniente dalla Francia e indirizzata a Sacheri, a Pianfei, dal pittore Fossa Calderon:

Paris, le 22 Juin 1928.

Cher Monsieur et Ami,
Nous avons appris par notre cher ami Varrando la mèdaille qui vous a etè offerte par le Conseil des Beaux Art. Nous nous rèjouissons, ma femme et moi de vos succès, et nous vous en felicitons de tout coeur.
En vous priant de presenter nos hommages a Madame Sacheri et à vos enfants, recevez Cher Ami, avec nos felicitations, nos salutations les plus distinguè.

J.E. Fossa Calderon.



Il 1929 si apre con la permanenza dei coniugi Sacheri all’Hotel Victoria di Bordighera, dall’8 al 21 gennaio: sino a che l’età lo permetterà loro, frequenti saranno, infatti, i periodi invernali trascorsi in Riviera, al riparo dai crudi freddi della campagna cuneese, ma anche per tornare a dipingere quel mare e quei luoghi amatissimi.

Il 1930, per una volta tanto, lascia più spazio alla vita privata, con risvolti di insospettata mondanità, che non all’attività espositiva. Si ha infatti riscontro, in apertura d’anno, del ritorno a Chiavari della famiglia Sacheri al completo, per trascorrervi il Capodanno, sempre al Grand Hotel Moderno, restandovi dal 30 dicembre 1929 al 7 gennaio del ’30.

E se già dal conto dell’albergo si ha notizia di una consumazione extra di “cinque vermouth lisci” e di “due litri e mezzo di vino Chianti”, sarà poi un corsivo del settimanale “Il Mare”, edito a Rapallo, ad informare i lettori – l’11 gennaio 1930 – della serata danzante tenuta la sera del 31 dicembre nelle sale dello stesso albergo chiavarese, dando pure conto dei nomi più illustri tra i convenuti.

Può essere inoltre citato, a mò di stranezza, il conto dell’ “Hotel Reale Superga” di Cuneo, in data 6 ottobre 1931, ove è annotato il corrispettivo pagato per l’utilizzo di ben undici camere!!


Vi sono infine, sempre piacevoli per il garbo e la devozione che vi sono profusi, altri brevi scritti indirizzati dal pittore alla signora Alice Galimberti:

Pianfei, 7 Novembre 1931.

Illustre Signora,
La ringrazio del suo gentile invito per martedì prossimo, invito che accolgo ben volentieri per fare una chiacchierata “zeneise” e passare un’ora veramente piacevolissima.
Ossequi a Lei gentile Signora, a S.E. il Senatore e saluti al very charming son. Dev.mo G.Sacheri.


Pianfei, 13 Novembre 1931.

Gentile Signora,
Mentre ero appunto per inviar Loro i miei ringraziamenti per le belle ore trascorse martedì (parentesi di luce morale…..e anche materiale per me), ho ricevuto la Sua gentile cartolina.
Se il muro non è caldo, non credo che la marina abbia a soffrire della vicinanza della stufa, tanto più ora che è protetta dal vetro.
Le invio in busta aperta gli opuscoletti richiesti. Le son ben grato di quanto Ella fa per me e rinnovando i miei ringraziamenti porgo a tutti Loro ossequi e saluti.

G.Sacheri

Pianfei, 22 Dicembre 1931
Illustre Signora,
Con animo grato per le tante cortesie ricevute, porgo a tutti Loro, anche da parte di mia moglie, gli auguri più fervidi di ogni bene.

Dev.mo G.Sacheri

Ma l’anno 1932 sarà anche cruciale per l’addio del figlio Aldo alla famiglia e all’Italia. E ciò arrecherà una pena infinita ai genitori e alla sorella; quest’ultima lo accompagnerà sin sotto la nave, nel porto di Genova, col triste presentimento di non poter più riabbracciare quel fratello cui è molto legata. E pensare che allo zio non sarebbero mancate occasioni di lavoro anche a lui congeniali, quali alcune collaborazioni all’ente radiofonico e ai giornali, impieghi ai quali il padre cercò, sino all’ultimo, di indirizzarlo.
E’ infatti del 12 aprile la lettera, proveniente da Roma e dal giornale politico quotidiano “Il Popolo di Roma”, in cui si assicura l’interessamento per una collaborazione a quello stesso giornale, da riservare al figlio del pittore.
Sarà, però, tutto inutile e allora il Sacheri si tufferà con maggior lena, con baldanza quasi giovanile, in quella sua vita scandita da continue passeggiate attraverso la campagna amica, dalla sempre fedele e poetica rappresentazione di splendidi scorci naturali - sia dal vivo sia al chiuso del suo ampio e luminoso studio - nel tanto tempo che vi dedica riducendo a pochissime le ore di sonno.
Di lì riuscirà ancora, per anni, a mandare la sua preziosa e appassionata opera alle varie esposizioni, anche le più lontane, col sempre lusinghiero successo di vendite e ricevendo l’unanime apprezzamento della critica e degli appassionati.
Prova ne sia il seguente scritto inviatogli, il 12 agosto 1932, dal Senatore Galimberti:
Lettera intestata: Senato del Regno

Cuneo, 12/8-1932

Illustre Maestro,
ricevo dall’Avv. Vitelli e dal Prof. Fereglio (due eminenti legali di Torino) ogni elogio per l’opera sua che collocarono nelle rispettive sale al primo posto d’onore.
Io ne sono bene orgoglioso e Lei credo che ne sarà contento.
Così la sua grande e meritata fama avrà in Torino ancora ammirazione, quale artista poeta moderno del nostro mare.
Ossequi alla Signora da tutti noi e con ogni riconoscenza suo

Senatore Galimberti

E l’amicizia con la famiglia Galimberti dovette certamente arrecare una nota di benessere spirituale, una luce di vivido e straordinario intelletto nella vita dei coniugi Sacheri, ormai soli nella vasta e accogliente casa di Pianfei ove il trascorrere inesorabile degli anni e il lento prevalere dei ricordi sul rapido succedersi degli eventi quotidiani, scandiranno i tempi sereni di un’esistenza illuminata, sino all’ultimo, dalla fiamma dell’amore e dell’arte. Ne è testimonianza una corrispondenza concisa, essenziale, sempre piacevole e rispettosa.


Nel 1933, da buon cittadino pianfeiese, contribuisce alle locali opere assistenziali, ricevendone il ringraziamento da parte del comitato preposto:

Lettera intestata Comune di Pianfei
Oggetto: Comitato dell’Ente Opere Assistenziali
Pianfei, 23 Febbraio 1933


Ill.mo Sig. Prof. Giuseppe Sacheri – Chiavari
Mentre trasmetto ricevuta dell’afferta di L. 50 a favore di questo Comitato, mi è gradito porgere alla S.V. Ill.ma i più vivi ringraziamenti miei personali e dell’intero Comitato.
Con la massima osservanza. Il Podestà:
(firma illeggibile)


Per quanto concerne il fronte artistico, in quest’anno 1933 come pure negli anni a venire, il pittore, che ha raggiunto i settant’anni, riduce e ridurrà naturalmente il suo impeto espositivo – che abbiamo visto connotare in modo marcato gli anni sin qui succedutisi - dovendo tener presente, oltre all’età sua, un’oggettiva difficoltà “logistica”: ogni mostra richiede, infatti, l’invio di quadri imballati in speciali casse di legno e spediti tramite ferrovia o in nave se oltreoceano!

Nel susseguente anno 1934 sono da annoverare ancora tre scritti, indirizzati alla signora Galimberti, sempre telegrafici nella forma ed efficaci nella essenzialità delle notizie che con essi vogliono essere trasmesse:

Pianfei, 20 Maggio 1934

Illustre Signora,
Le giornate sono splendide, nello studio vi sono molte cose nuove.
Se le facesse piacere di venire con qualche Sua amica ( che, come Lei, si interessa d’arte) a Pianfei, magari domenica, il sole e la bella stagione farebbero forse vedere veramente interessanti e belli i miei crepuscoli scozzesi!
Con gli ossequi a S.E. il Senatore, distinti saluti all’avv. Duccio, buon intenditore d’arte, bacio a Lei la mano. dev.mo G.Sacheri

Pianfei, 14 Giugno 1934

Illustre Signora,
Sabato verso le 11 sarò a casa Sua ben lieto di rivederLa.
Ossequi a S.E., saluti al figlio e rispettosi omaggi a Lei dal

dev.G.Sacheri

Pianfei, 21 Giugno 1934

Illustre Signora,
Grazie ancora della gentile accoglienza.
Ho letto nelle due Riviste con vivo interesse i Suoi articoli; notevolissimi per la profondità del pensiero esposto in forma chiara e brillante.
Per le cassette niente da fare perché irrimediabilmente deteriorate.
Presenti i miei più rispettosi saluti a Sua Eccellenza e a Lei, illustre Signora, l’ossequio devoto di

G. Sacheri


In una lettera del 12 aprile 1939, che l’Avvocato Galimberti indirizza al pittore , spirano i primi venti di guerra! Per ora solo paventata (che Dio ci salvi! Dice il Senatore) diverrà, di lì a poco più di un anno, una tragica e sconvolgente realtà
Guerra che avrà un epilogo angosciante e luttuoso proprio per la famiglia Galimberti che vedrà il figlio primogenito Tancredi, detto Duccio, giustiziato dalla fazione allora imperante, per aver apertamente e coraggiosamente professato e propagandato, tra i primi, gli ideali della Resistenza e della lotta partigiana al nazifascismo.
La città di Cuneo ne onorerà la memoria dedicandogli la piazza principale ove si affaccia la casa che fu della sua famiglia; in tale casa, oggi destinata a museo, è pure presente una preziosa pinacoteca in cui è possibile ammirare, tra gli altri quadri d’autore, la collezione dei bellissimi dipinti di Sacheri raccolti e tanto amati dalla Signora Alice e dal Senatore Galimberti, durante quel lungo e fecondo periodo di serena amicizia col pittore.
Saranno dunque, quelli a venire, anni di guerra, anni bui durante i quali anche l’arte, ed è certamente il male minore, subirà un’inevitabile impasse, con l’interruzione di quasi tutti i principali e prestigiosi suoi eventi espositivi. Ma il nostro magnifico Artista, oramai veramente anziano, continua la sua vita di sempre: lunghe passeggiate attraverso la campagna per raggiungere i boschi ombrosi oppure i placidi specchi d’acqua del Pesio che ancora gli ispirano, tante e tante vedute di quella Natura che lo accompagna sin dalla prima giovinezza. E quando l’ora si fa ormai tarda e il sole, scomparendo all’orizzonte dietro al Monviso, concede una meritata tregua a uomini e cose, eccolo rientrare a casa dalla sua amata Maria che lo attende sempre trepidante e premurosa; dopo la cena nell’intimo e accogliente salottino, cui faranno seguito una abituale e rilassante pipata e la lettura di un buon libro nella sua poltrona accanto al fuoco, è facile immaginare come il discorso dei nonni sarà andato, inevitabilmente, alla sofferta lontanaza dei figli: Aldo, esule in quel lontano Ecuador, che non darà più notizie di sé per un lunghissimo lasso di tempo ed Elda che da Roma, tutta presa dalla cura della famiglia, non potrà che venire raramente a trovare i genitori.

Vi sarà pure, motivo di evasione in quella pur operosa e in fondo a lui congeniale solitudine, la corrispondenza sempre attesa, desiderata e ricambiata con parenti e amici e la visita assidua, in studio, di persone interessate alla visione dei quadri, ma anche al loro acquisto perché tale fonte di reddito è l’unica a garantire il sostentamento della famiglia.

Ma l’anno 1943 vedrà, col perdurare e l’aggravarsi dello stato di guerra, la generosa decisione dei coniugi Sacheri di ospitare l’intera famiglia di Elda, nell’austero palazzotto di Pianfei, per porla al riparo dalle condizioni pericolose e ormai invivibili che presentava una grande città come Roma.
Inutile dire che l’arrivo di due adulti e quattro tra bambini e giovinetti, pur se amati, porterà un notevole scompiglio nella vita, meticolosa e preordinata su ritmi propri e consolidati, degli anziani Nonni, considerando, anche, di quanto raccoglimento e silenzio avesse bisogno il Nonno, ottuagenario, per poter dipingere!
La corrispondenza, sul finire dell’anno 1946, è poi significativa di un dopoguerra assai critico, e lo è comprensibilmente ancor più per il mondo artistico, ma anche della ancor grande vitalità del pittore che cerca, ad onta degli anni, ulteriori spazi espositivi che gli permettano, ed è condizione vitale per ogni Artista, di sottoporre la sua opera all’altrui giudizio e confronto. Si percepisce anche, nel contempo, la volontà del genitore di aiutare economicamente i figli in quel particolare momento di carestie e ristrettezze: Mamma sarà sempre gratificata di aiuti essenziali in frangenti importanti, mentre lo zio Aldo, dal lontano Sud America, tenterà di imbastire operazioni commerciali con l’Italia tramite il cugino Pippo che è titolare, in Genova, di un’agenzia di viaggi:
Successivamente e sarà forse, lui vivente, l’ultima sua mostra personale, esporrà dal 23 ottobre 1948 presso la Galleria d’Arte Martina, sempre in Torino, in via S. Teresa (Galleria San Federico). In quest’ultima occasione si ebbero le seguenti autorevoli recensioni: in quella datata 27 ottobre 1948, a firma Marziano Bernardi, si introduce, nel mutato e ancora incerto clima pittorico che caratterizza quegli anni, una nota di rimpianto per quella pittura definita “d’altri tempi” ed entro la quale, è detto, Sacheri ebbe sempre a distinguersi.

Giuseppe Sacheri morì il 16 Ottobre 1950 nell'abitazione di Pianfei, Borgata Ambrosi, dove risiedette ininterottamente dal 1927.

La Vedetta – Settimanale di Cuneo - Venerdì 27 Ottobre 1950

E’ morto nell’ignota Pianfei un pittore del mare: Giuseppe Sacheri
Ora non si dipinge più così, ora la solitudine fa paura agli uomini che non sanno ascoltare il loro cuore, che son tutti tesi alla piccola voce della critica astiosa, anziché a quella infinita della materna natura, ma sui sentieri solitari di Giuseppe Sacheri gli artisti dovranno tornare.

Nell'ottobre del 1957, sotto l'egida dell'Ente Provinciale del Turismo, il Comune di Pianfei ha voluto onorare la memoria del pittore ligure Giuseppe Sacheri, con la scoperta di una targa commemorativa sulla facciata della casa dove egli visse per oltre ventanni, dal 1927 al 1950.
Nello stesso giorno è stata inaugurata nel Comune un strada intitolata a Giuseppe Sacheri.



Da un'intervista di un giovane giornalista del giornale Il Subalpino, avvenuta alcuni mesi prima della scomparsa del Pittore.

Il Subalpino – Cuneo 24 Ottobre 1950
“Ricordo di Sacheri”


C’era nell’aria il presentimento della primavera.
Il pittore alzò il bicchiere e guardò il vino in controluce, poi disse:” Lei è quello che ha parlato male di me”.
Eravamo nella grande veranda battuta dal sole; seduto a capo tavola con una specie di giaccone verde bottiglia, Sacheri mi guardava senza rancore, come se le parole di un mio articolo, forse un po’ cattive, non avessero toccato la sua consapevole serenità.
Gli ero seduto vicino, mi sentivo piuttosto intimidito e anche un po’ mortificato, quasi come uno scolaretto in colpa. Il vecchio pittore indovinò e mi sorrise: “ Vada, vada nello studio, giri liberamente nella casa, comprenderà, forse, il perché della mia piccola fama”. E non volle che mi giustificassi: “Un giovane non deve né pentirsi, né chiedere scusa. Quello che fa è sempre leale”. Aveva tanta saggezza e comprensione che gli volli subito bene. Rimasi zitto a guardarlo. Pareva un personaggio antico, risuscitato da un libro di mitologia. Il viso irregolare illuminato da due piccoli occhi vispi, mobilissimi, i capelli candidi lucenti ravviati all’indietro gli conferivano un certo aspetto faunesco. Era proprio come nel ritratto dipinto da Fracchia, appeso alle sue spalle. Gli occhi soprattutto mi affascinavano e, seduto com’ero di sghembo, li vedevo ora nel dipinto ora nel pittore altrettanto vivi: occhi felini, fosforescenti.
Vi era tanta pace e tanto amore in quella casa che subito mi sentii a mio agio; l’ospitalità antica dissipò ogni mia timidezza. Fui felice di essere venuto a Pianfei per conoscere Giuseppe Sacheri, l’illustre pittore ligure. D’altra parte non potevo non andare. Non mi sarei accontentato dei pochi lavori visti in una grigia e pigra giornata di primo autunno a Mondovì. Quello non era il Sacheri che immaginavo, il pittore celebre che aveva scelto un paesino della nostra terra come suo ultimo romitaggio, come estrema ancora al suo peregrinare attraverso il mondo.
Il pittore era convalescente; la sua forte fibra aveva subìto un collasso pochi giorni prima. Aveva 86 anni.
Malgrado si sentisse ancora molto debole, aveva lasciato il letto da poco, volle ricevermi. Fu affabile, gentile e parlò anche molto con non poca disapprovazione della sua signora che temeva si affaticasse troppo.
Volle che bevessimo insieme: “Come, in Piemonte non sturare ‘na buta quando viene un amico?!”
Aveva voglia di discorrere, era animato da quella vitalità, un tantino euforica, dei convalescenti. Mi parlò molto della sua vita di “marinaio” e del mare. Non mi parlò invece della sua pittura; voleva che l’arte sua la scoprissi da solo senza influenze.
Mi disse di aver esposto alla Promotrice di B.A. di Torino ancora con Delleani, e a questo proposito evocò per me, con arguzia felice, un piccolo episodio. Alla Promotrice il regolamento permette che ogni pittore esponga al massimo due quadri. Delleani, oltre ai due suoi, talvolta ne presentava altri, che, provvisoriamente faceva firmare dai suoi allievi. Per cui un giorno il pittore Pollonera commentò:”Delleani ha esposto due quadri e ne ha venduti cinque”.
Sacheri gioiva di questi ricordi: i suoi piccoli occhi ridevano, come pure pareva ridessero quelli del ritratto.
Mi mostrò anche una medaglia d’oro, sulla quale era stato inciso il suo profilo. Medaglia che gli avevano fatto coniare ed offerto gli artisti liguri quando il maestro lasciò la presidenza della Promotrice di Genova.
Oltre la nostalgia del mare egli era sofferente di non poter dipingere. “Sono stato un po’ indisposto, ma fra poco riprenderò i pennelli”. E gli occhi si illuminarono nella speranza. “Mi recherò laggiù, farò la primavera”. E con la mano mi indicava una lontananza, per me astratta, che si affacciava alle vetrate della finestra. La mano gli tremava nel gesto, era una mano stanca. Quel tremito mi dava pena e mi faceva dubitare della realizzazione di quel suo sovrumano bisogno di dipingere. Malinconia di certi pensieri. Eppure la mente era ancor tanto viva ed intelligente che avrebbe potuto creare visioni di colore, ma la mano non gli avrebbe più ubbidito. Pensare il quadro, vederlo e non poterlo fare. Questo rimuginavo mentre egli parlava nella veranda calda di sole.
Poi, dietro la gentile padrona di casa, mi recai nello studio.
Giuseppe Sacheri fu pittore fecondo e attivissimo per lunga vita. Egli ha prodotto una stragrande quantità di opere con una abilità di mestiere portentosa.
Definire la sua pittura è impresa difficile e di più ancora lo è inquadrarla nel suo posto. Sotto un certo aspetto egli è stato un neo-romantico con un pizzico di naturalismo.
Nei suoi viaggi ebbe modo di vedere molto, certamente conobbe l’opera del grande Turner, del francese Boudin, il primo maestro di Monet, di Calame; ammirò sicuramente Fontanesi e Delleani. Elaborò le visioni di questi grandi paesisti in una pittura sua, versatile e personalissima.
La visita allo studio mi convinse di questo e mi dimostrò che egli fu un virtuoso della tavolozza. Perseguì, infatti, armonie complesse, addensando una infinità di paesaggi entro una ristretta scala di toni. Questo per dare profondità e risonanza ai suoi cieli e ai suoi avvolgimenti atmosferici.
I temi prediletti del maestro furono porti, marine e spiagge, temi spesso dominati da cieli corruscanti e sovente da vivaci macchiette, toccate con arguto brio di pennello.
Abilissimo nell’evocare sulla tela gli aspetti della notte, in magiche visioni lunari, Sacheri, anche se concesse molto all’effetto, rivelò in esse coerenza ed elevatezza di stile.
La visita allo studio si protrasse a lungo e fu laboriosa. Troppi erano i quadri, gli studi, i bozzetti da vedere. Così sfilarono per la mia ammirazione, marine, nevi, notturni, paesaggi di Olanda, primavere di un verde tenero, il verde Sacheri, delicate nei rosa dei peschi in fiore.
Naturalmente, forse non tutto era arte pura, ma quasi sempre il mestiere e il virtuosismo erano di specie superiore.
Rimasi stupefatto di tanta bravura. Non aveva più importanza il vero o la maniera e compresi appieno il perché della notorietà di Sacheri.
Quando rientrai il sole aveva abbandonato la veranda. Il maestro s’era assopito con una coperta sulle ginocchia. Respirava lentamente. Il risveglio fu dolce come quello d’un bimbo. Subito i suoi occhi si animarono, gli dissi della mia ammirazione. Ne fu contento. Si fece promettere che sarei ritornato a Pianfei, mi avrebbe parlato delle sue esposizioni in Olanda, in Belgio, a Parigi, a Londra, mi avrebbe mostrato le recensioni dei critici di fama europea. Promisi che sarei ancora tornato. Che in un mio prossimo articolo…...poi……avrei riparato al giudizio irriverente. Pochi giorni orsono seppi della sua morte. Aveva 87 anni.
Ho sperato tanto che i suoi amici mi comunicassero qualche notizia a documentazione della sua vita, dei suoi successi, quelle notizie che Sacheri mi aveva promesso. Gli amici del pittore forse non mi ritennero degno di commemorarlo, e, forse, non mi perdonarono quello che Lui aveva con intelligenza superiore e bonarietà perdonato.
Così senz’altri mezzi che il mio ricordo, ho detto di Sacheri, della casa di Sacheri come li vidi in un giorno di sole, vicino alla primavera.


Passeggiate col nonno
di Gisella Bongioanni 2014


Bambina di otto–nove anni, quasi alla fine della guerra e alla fine dell’estate, prima di rientrare a Roma per la scuola, ho avuto il privilegio di accompagnare più volte il mio dolcissimo Nonno, Giuseppe Sacheri, nella sua passeggiata quotidiana, sul far della sera.
Quando la luce del giorno andava stemperandosi al tramonto in un tripudio di rossi, creava un’atmosfera quasi fiabesca nella quieta campagna piemontese, la cui natura era ancora incontaminata e per il Nonno particolarmente suggestiva in quell’inizio d’autunno.
Era un camminare molto lento: il vecchio e la bambina. Lui si soffermava spesso ed io ero un po’ impaziente di tornare ai giochi interrotti. Alzava il suo bastone da passeggio –che è ancora nel suo studio – e mi mostrava ora un salice dalla chioma argentata, ora una nuvola orlata d’oro, ora un improvviso volo d’uccelli disturbati dal nostro passaggio.

Come ho avuto la fortuna di godere, se pur piccola e inconsapevole, di tali accadimenti e di emozioni ancora così vive dopo tantissimi anni, desidererei che anche altri, davanti ai suoi dipinti, provassero le stesse sensazioni e ne traessero un qualche attimo di distensione, di pace, di serenità, in questi tempi così caotici e confusi.