RACCONTI

storielle1 Per completare e approfondire la conoscenza della personalità umana e intellettuale di Sacheri, si propone la lettura di alcuni raccontini immaginari scritti, in età già avanzata e durante la sua permanenza nel piccolo borgo di Pianfei, durante gli anni trenta e quaranta a beneficio dei nipoti – Marisa, Gisella, Aldo, Mario – allora appena bambini.
Si tratta di storielle semplici e fantasiose, brevi e divertenti (divagazioni, le definisce l´autore, che recano un momento di pausa "in questo incessante nevicare, un´ora di oblio che mi toglie dal pensare e tante tristezze") che intendono destare nei giovanissimi lettori la curiosità, la fantasie l´arguzia, doti – a suo dire -– indispensabili per un corretto approccio con la vita.

I nomi che compaiono nelle storielle sono di fantasia.



storielle2
"Cara Marisa,
Tutti sanno che sono tanto brava nello scrivere sottosopra dettato, mia Mamma non è qui, è andata nella nostra campagna a far provvista d´uova per lo zabaione di mercoledì. Prima di partire, posando la cavagna (n.d.r. cesta, gerla) disse con voce (per forza) materna: Scrivete alla Signora Sacheri che venga al trattenimento che faremo mercoledì oggi 8. Per me è un poco noioso il farlo, ma pazienza ! La mia pagella è buona e per le assenze giustificate ho un bel sufficiente. Dimenticavo: Può portare anche il marito, se ne ha voglia. Dunque vengano mercoledì 8 - alle 15 - Se sono persone educate non si facciamo aspettare. Verranno altri amici della stessa razza, tutta gente pulita. Ci piacciono le paste con la crema a suo marito ? Se non piacessero, le può prendere lo stesso, poi me le passa. Forse avremo i gelati, ma forse no - forse che si forse che no - come ho letto sulla copertina di un libro del babbo. Papà ha detto l´altra sera che sarebbe meno spesa servire invece dei gelati, lo zabaione - poche uova poco zucchero e tanto buon umore. Se siete un poco golosi, per essere sicura che verrete, vi dirà che vi saranno i sandwich di mascalzone, mi sbaglio mascarpone, di prosciutto di maiale, di carne bollita (avanzata), di carciofini all´olio e altri poveretti all´inferno. State però di buon animo, ben tranquilli, abbiamo anche i tovagliolini per pulire le mani. Per quelli che si insudiciassero troppo sarà giusto che si puliscano tornando alle loro dimore - perché al giorno d´oggi la lavandaia è ben cara. Ecco assolto e bravamente il mio compito - L´invito è fatto se verrete bene, se no anche meglio. D´altronde vi saluto con tutta l´educazione possibile, pregandovi ancora di venire vestiti piuttosto bene così non ci farete sfigurare. Vedete quanto ho scritto; se farete vedere questa mia a Mamma mi darà un bel bacio e l´avrei meritato.
Ariannina" (n.d.r. nome di fantasia)

Il pittore con in braccio la piccola Marisa


Cara Marisa,
Siamo stati invitati a pranzo dal Sig. Pancioni gran fabbricante di pasta da minestra a Chiusa Pesio. Abbiamo fatto apparecchiare la slitta che fu trainata da Piedistallo ed Inerte. Corsa veloce, sobbalzi paurosi, ma sportivamente piacevoli – per miracolo non siamo sbalzati nella neve. Arrivo a Chiusa – Grande casa; fabbrica a piano terreno.
Per combinare con lo scopo del lavoro e (come si vedrà in seguito dei pranzi) sulla porta di un ufficio invece di Amministrazione – sta scritto Am–minestrazione. La signora Pancioni ci viene incontro sorridente: " Cerea – Fatta buona vira. Vedranno come mangeranno tanto da noi, perchè siamo ricchi. Si spoglino pure perché qui fa caldo", etc etc
Rispondiamo con voce malferma per via dei sobbalzi: "Grazie, viaggio porco causa la stradaccia più porca ancora; già non verremmo mai più. Lei un poco ci annoia – ci lasci respirare un momento.
Detto ciò con una certe franchezza, chiediamo cosa sia quel rumore sordo che si sente e che fa tremare un pochetto la casa. "La macchina" – risponde Madama Pancioni.
"Per carità faccia fermare tutto; nello stato nel quale siamo ci fa venire nausea persino prima del pranzo". Dieci minuti di riposo.
Sediamo sul divano – Maria si appisola, involontariamente la imito e dopo poco russiamo.
Maria emette un delicato tremolo come di violino che io accompagno con un suono di trombone.
Nel dormiveglia vediamo girarci attorno la famiglia Pancioni che che ci guarda stupefatta e un tantino spaventata.
Padre, Madre e una dozzina di componenti la prole.
Riposati alquanto apriamo le pupille – Grida di giubilo dei riguardanti che già pensavano che avessimo la malattia del sonno.
Siamo invitati ad entrare nel Salone da pranzo. Una lunga tavola apparecchiata, nel centro un enorme damigiana col suo rubinetto e per la lunghezza otto scodelle per parte...
Pancioni con voce gutturale (non ci ha neppure salutati) dice: Quelli del brodo a destra – Pasta asciutta a sinistra. Io e Maria sediamo dalla parte asciutta con altre sei persone. Arrivano una zuppiera col brodo (pastina) e un piattone di spaghetti asciutti al sugo. Finita questa portata, Pancioni grida: Cambiamento!
Noi non comprendiamo nulla, ma vediamo che quelli del brodo vengono ad occupare i nostri posti e noi siamo invitati a passare dalla parte del brodo. Ora gli occupanti i nostri posti mangiano pasta asciutta e noi siamo obbligati a sorbire pastina in brodo. Finita anche questa, Pancioni grida: Cambiamento! Zuppiera e spaghetti. Dicevano che il gioco dura sei volte.
Abbiamo ringraziato con le lacrime agli occhi e siamo tornati a Pianfei dove abbiamo fatto un pranzetto all´albergo Addis Abeba (al tempo, ristorante a Pianfei) e abbiamo fatto bene."
" Al Trattenimento familiare

Siamo andati.
Ben ricevuti dal Comm. Gonfia Palloni, pieno di se e da Teresa la consorte amata.
Dalla tribù figliale, otto ragazzi e otto ragazze tutti turbolenti allegrissimi.
Guardandoci con insistenza scoppiavano sempre dal ridere; ciò ci parve molesto tanto che ci guardavamo se per caso a me uscisse la camicia dai calzoni e che Maria avesse la sottana scucita o sbottonata.
Si fa della musica - Suonata a quattro mani di un pezzo dei Due Foscari - Breve, ma lacerante - fortuna che erano solo due - guai fossero stati di più ! Poi recitazione. "La vispa Teresa" detta da Sofia. Siccome la bimba la diceva male, la mamma le diede una pedata dietro, e Sofia a gridare: l’ho presa l’ho presa.
Poi Claretta disse in modo tragico: Rondinella pellegrina che si posa sul verone... poi non ne sapendo altro l’ha lasciata riposare sempre su quel verone. Portano, due servette, su due vassoi: zabaione - paste - sandwich - vini etc.
La tribù si slancia all’arrembaggio: anche la gente pulita arraffa. Arianna grida che Carletto in cucina ha già mangiato paste: Carletto giura che sono quattro e accusa Arianna e Sofia di aver leccato lo zabaione superficialmente su tutte le tazzine, nessuna esclusa.
Giovanni dice d’aver veduto Bica e Linda prelevare con la lingua la crema dalle paste. Un pandemonio !
La mamma sviene e cade su di una poltrona con gli occhi chiusi, la bocca aperta - Gillin (2 anni) crede muoia di fame, le ficca un crostino di carne bollita in bocca. La madre torna in se, si scuote e dà una manata sul volto del bimbo. Gillin urla, piange e picchia con una tazza di zabaione, venutagli a mano, una persona pulita.
Svengono il comm. e tre invitati. Approfittiamo per andarcene.
Tante grazie e buona notte."

"Pianfei, 29 Marzo (???)

Cara Marisa,
Sono giunti ieri agli Ambrosi (questa è la borgata di Pianfei dove è situato il vecchio edificio del ’600 abitato da Sacheri e Consorte) il conte Panzone di Centopadelle con la signora Onofria, sua consorte a vita, per invitarci ad inaugurare il loro nuovo parco con una caccia al fagiano.
Salimmo nella lussuosa automobile - ovunque lo stemma del conte: una P + 100 e una padella su campo giallo polenta.
Onofria (faccia da schiaffi con quella superbia) grandeggiava dicendo mirabilia della nuova villa nel centro del parco - anzi Lei che ha la pronuncia affettata diceva nel centro del porco.
Il conte parlava con elegante disinvoltura delle sue cacce in India - Panzane !
Racconta fra le altre questa spacconata: Ero col principe Maragià Citrul Scem, avevo ferito malamente una grossa tigre, la belva furiosa mi si avventò, scesi dall’elefante, svelto come una scimmia, l’afferrai per la coda e la sbattei con violenza contro un albero - ebbe appena il tempo di dire forse fra sé: Misera me - e spirò. Il Maragià rimase più citrul di prima e tampoco Scem.
Arrivammo alla villa.
Vi erano altri ospiti - due ufficiali, uno superiore, l’altro inferiore, di statura.
La duchessa romana Della Ricotta - chiamata brevemente dagli intimi Ricotta romana.
Il medico illustre: Mazza Infermi - di Moscato d’Asti.
La marchesa: Torta di Vacca col figlio: Ulderichettino, un accidente, una peste di ragazzo.
Venne dato a tutti un fucile Winchester e via a cavallo per il parco.
Maria galoppa elegantemente e a un dato momento spara e un bel fagiano le piomba davanti al corsiero.
Donna Ricotta spara a sua volta ed abbatte se stessa, intendiamoci - si abbatte soltanto per il rinculo dell’arma - e così si vede una ricotta per terra. Ad un tratto avviene un trambusto.
Il conte Centopadelle ritorna al galoppo da un folto di alberi ove si era inoltrato.
E’ ansimante e grida che un grosso animale l’ha assalito di sorpresa - ora si è rifugiato in una tana fra quel viluppo di arbusti.
Corriamo tutti a vedere - Ulderich. etc., l’accidente, mette audacemente la mano nella tana che gli indica il conte, e ne estrae un bel coniglio ! Risa generali - il cacciatore di tigri resta un poco male e giura che quel coniglio finirà… in una delle sue cento padelle. La caccia prosegue - sparano anche i due ufficiali della differente statura.
Maria colpisce un altro fagiano, strana fortuna, ne cadono due, il secondo evidentemente svenuto per aver visto cadere il compagno.
Io (ero vicinissimo al conte) sparo, nello stesso tempo il cavallo fa un balzo, getto un grido, che si muta in urlo vedendo Centopadelle caduto al suolo. Corrono tutti in suo soccorso; io sto per fuggire temendo averlo ucciso.
Il medico Mazza gli fa un attento esame - non ha alcuna ferita, non una goccia di sangue, è soltanto svenuto per il rumore e la paura. Cosi si ritorna tutti tranquilli. Centop. risale a cavallo.
Maria colpisce un altro fagiano e, incredibili a dirsi, si ripete il caso che ne sviene un altro !
Come succede quasi tutti i giorni a un certo punto si fa buio, si fa sera per dirlo con più schiettezza.
Si ritorna alla villa.
Cena - Minestrone di gnocchi - fritto misto di patate - zucchini alla maionese etc. etc.
Erano, Dio ce ne liberi, vegetariani !
Conversazione pacifica animata soltanto da Ulderichettino che ruppe due bottiglie, un piatto da minestra e tre bicchieri.
I padroni di casa stoicamente assistettero al disastro - dissuasero però il ragazzo di andare nella stalla a tirare il collo a una vacca.
Il garzoncello aveva ancora appetito e in ciò non aveva torto. Poi andammo nel salone a giuocare a tombola e quindi a letto. Buona notte.

"1 Novembre – Festa di tutti i Santi

Cari nipotini,
avevo promesso di scrivervi una lettera piena di scemenze ed eccola.
Quando si è anziani ritornano alla memoria fatti e cose della fanciullezza pervase da un senso di nostalgia e da un certo umorismo.
Talvolta rammento una mia stramba biricchinata di quando ero bambino nel collegio nazionale di Genova.
Una sera eravamo nel dormitorio, spogliati ci buttammo sotto le coperte, e venne abbassata la luce del gas.
Attesi che i miei compagni, una trentina (vi erano 12 compagnie di 30 allievi), fossero addormentati – i letti erano distanti 50 cent. l’uno dall’altro, mi alzai in piedi e feci una rapida corsa su tutti i letti degli amici, rifugiandomi poi nel mio lettino facendo finta di dormire.
Che putiferio! Grida di spavento, urli indiavolati.
L’istitutore che dormiva in un angolo della camerata riparato da una tenda, venne fuori per rendersi ragione dell’improvviso scompiglio e vedendo me solo dormire (merlo) comprese essere io la causa del trambusto e mi promise il dovuto castigo per il giorno imminente.
Promessa che mantenne fedelmente facendomi chiudere in uno stanzino riducendo il mio vitto a pane e minestra.
Ricordo aver letto a quei tempi – Le avventure del Barone di Münchausen – libro tedesco tradotto in tutte le lingue europee.
Libro ameno e stravagante.
Cito alcune di queste stramberie. Il barone dopo aver combattuto nella guerra, si appressa ad una fontana per far bere il destriero.
Bevi e ribevi, il cavallo non finiva mai, alla fine il barone si volge a tergo e vede il cavallo tagliato a metà; l’acqua che ingurgitava usciva tutta dall’enorme taglio.
Altra volta il barone correva a galoppo per una strada, ma una berlina (vecchia vettura) chiudeva la via ed impediva il passo – niente paura, Münchausen sprona il cavallo passa tra le finestre della vettura, si toglie il cappello piumato e dice: Buon giorno signore scusate la fretta, ossequi.
Ancora una – Un giorno egli era a caccia (erano già inventati i fucili), non ha più pallini e vede filare nel cielo dodici grossi uccelli, forse gru, mette quella specie di ferro che gli serviva...


(n.d.r. manca il seguito perché non ritrovato l’originale )
Ai cari nipotini
Gisella, Aldo e Mario

Il nonno scrive a voi tre ed esclude l’avvenente e simpaticissima Marisa perché non è più nella puerizia ed io voglio scrivere un mucchio di sciocchezze per bimbi.
Dunque sapete chi è il signor de La Palisse?
E’ un Tizio che non sbaglia mai, perché è veramente sicuro di quello che dice ed afferma ad esempio: L’estate è calda, freddo l’inverno - la neve è bianca, il carbone è nero, etc.
Come vedete verità assolute, ma così insulse che quando uno dice cose simili - in Francia e da noi - si commenta: Oh ! il sig. De La Palisse Pantagruel è un personaggio di un famoso scrittore francese - gran mangiatore, figuratevi divorava da solo un bel vitello -così ora anche da noi si chiama pantagruelico un pranzo copiosissimo.
Tanti anni addietro a Milano cantavano per burla la canzone del toreador (mamma spiega):
El toreador - la già mazza du tor (tori)
el se sent na fam da sonatur
El va dal Cereghet (ristorante di gran lusso a Milano)
Comanda un disnaret (una piccola colazione)
Dui cappon arrost sis (6) cotelet
Ciò mi rammenta il caso curioso di Celestina e Giuseppot (?) di Pianfei che essendosi trovati da sposi a Milano entrarono per cenare al Cova (Cereghet) e vedendo trenta camerieri in guanti bianchi compresero d’aver ........... maluccio.
Penso che abbiano preso un brodino ed un uovo per tranquillizzare l’animo sbigottito.
Potevano avanzare di sedersi e dire che desideravano vedere un locale così famoso.
Ma molte volte lo spirito non è pronto.
Gui de Maupassant un giorno fu rimproverato dal suo Capoufficio per arrivare sempre buon ultimo e Maupassant fece un inchino e rispose: Faccio rispettosamente osservare che se sono sempre l’ultimo ad arrivare in ufficio sono però il primo ad uscire.
Lo spirito, l’arguzia salvano tante volte da casi noiosi e non sarebbe male anche da bimbi cercare di familiarizzarsi con la facezia, l’arguzia qualità che destano simpatia fra compagni, e poi anche da grandi son sempre giovevoli.
Un signore chiede ad un contadino - Quanto tempo ci vuole per arrivare a quel paese laggiù? – Cammina, disse il rustico – Dico quanto tempo è necessario per arrivarvi. - Il rustico: - Ma se non cammini e che veda il tuo passo non posso proprio dirtelo. -
Adesso faccio punto perché il proverbio dice - un bel gioco dura poco -.
Eppoi devo andare a Messa, ché oggi è domenica e domani (direbbe La Palisse) è lunedì.
Un bel bacione a tutti tre - e tre altri baci a Marisa, Papà e Mamma

il nonno.
"
"Cara Marisa,

Invitati dal Circolo della nobiltà Ambrosiana abbiamo preso parte alla partita di caccia alla volpe nelle brughiere di Gallarate.
Quando siamo scesi di casa, i gentiluomini e le gentildonne della borgata erano ad attenderci.
Un valletto (Aldo del molino) teneva per noi le briglie dei nostri corsieri: Sedentario per me e Inamovibile per Marisa.
Magna Nuja era elegantissima nel suo costume di amazzone – così la Marchesa Donna Carolina che aveva appena finito di battere i panni di Berto con Berto dentro i medesimi.
La impettita Celeste, tutta in bianco per ricordare discretamente la farina di una volta.
Donna Teresa, consorte del Mastro delle R.R. Poste in costume quasi adamitico!
De Trumblinot Del Forno faceva da Master dirigente.
Da capo a piedi in velluto porporino – sul berretto varie piume di gallina del forno.
Andrein, Notu – Fan du Zopp, il Marghé (n.d.r. tutti all’epoca presenti nella borgata), elegantissimi su corsieri puro sangue.
Galoppando abbiamo fatto colazione al sacco – salame, polente, "tumma" (n.d.r. tipo di formaggio), etc.
I cavalieri però fecero onore a una cinquantina di "butte" che si erano portate.
Così purtroppo succede che la caccia invece di rimanere in brughiera, andò a monte.
Io e Maria trotterellando su Sedentario e Inamovibile siamo tornati mucchi mucchi (?) a casa, giurando di non prendere più parte a festa alcuna organizzata agli Ambrosi.

Un bacio a te Marisa, a Gisella con rallegramenti per il suo bel quadretto cos’ è pulito e poetico, Aldo, Mario e per ultimi papà e mamma."

n.d.r. senza indirizzo e data – lettera inviata ai nipoti)

Per fare una sosta ai faticosi sport invernali dico alla consorte – Si va a Montecarlo? – Andiamovi – risponde essa con la solita brevità di parole in usa fra le donne.
Così siamo partiti per il mare azzurro e la cittadina del giuoco.
Siamo scesi all’Impossible Hotel – avevamo appetito – Salle a diner –Sontuosa – Maria in veste mauve con leggero décolletè aveva aria molto degagé. Anch’io in marsina – dégagè.
Ostriche – Maria non ne vuole, anzi si nausea a vedermele inghiottire, e si ritira per sfogare in più l’acconcia sede il patimento.
Zuppa – con paprica, peperoncini rossi e gamberetti vivi che scappano da tutte le parti.
Poulet rôti – dessert etc.
Poi andammo al Teatro dell’Opera. La sala era piena come un uovo – le uniche poltroncine (purtroppo!) invendute erano vicine attaccate alla gran cassa ed ai piatti.
Dovemmo sederci su quelle.
Non ti dico gli sbalzi ed i soprassalti quando quell’uomo picchiava col pestello sull’enorme tamburo e l’altro sicario sbatteva i due dischi d’ottone – Strumenti infernali –
Uscimmo assorditi, annichiliti, barcollanti. L’opera per noi poteva essere intitolata: Dannazione! o Terremoto! O Giudizio finale!
Al Casinò – Piena di giocatori. Dietro consiglio di Maria – seduto al tavolo punto un ventino – (4 soldi).
Un cameriere mi dice ridendo che è poco, anche i vicini ridono.
Raddoppio – maggiore ilarità; un signore mi consiglia di mettere 10 lire.
Le punto e zàffete in un lampo spariscono portate via dall’esoso croupier.
Maria dice che non è un bel giorno e andiamo via salutati dai più festosi ed allegri saluti.
Sembravamo vecchi amici. Che bella cosa l’amicizia!
Basta, tornammo all’Impossible e andammo a letto, ma, porca l’oca, anche qui una piccola disdetta; per quanto cercassimo, non vi fu verso di trovare
l’interrutore della luce e così non si potè dormire per quella lampada da 100 candele accesa!
Molto soddisfatti, siamo tornati a casa, ma abbiamo deciso di non tornare mai più a Montecarlo.

Cari bimbi, baci dai nonni giocatori a voi ad ai vostri genitori.

"Carissimi
Noi si continua con i nostri sports invernali – Adesso ne abbiamo proprio una passionaccia!
Ieri siamo stati con la nostra slitta a Mondovì.
Fissati ai piedi i pattini da ghiaccio siamo corsi veloci sul fiume Ellero sino a Bastia.
Colazione al sacco.
Sandwiches – con caviale, bottarega, musciamme ed altre squisitezze.
Da Bastia raggiunto Tanaro. Si pensava di andare ad Ormea; ma è tutta salita e si era fatta sera.
Per non trovarci sperduti a buio in aperta campagna, abbiamo lanciato il S.O.S.
Bisognava sentire Maria come gridava... Basta, dopo un ora vide le nostre teste emergere dalla neve lo stratosferico Dr. Piquart – ci raccolse.
Tua mamma giubilante pensava di tornare a Pianfei in modo sbalorditivo. Invece l’illustre sorvolatore ci fece fare un giretto al Polo Nord. Là era giorno – anzi vi era il sole di mezzanotte. Sai che al polo anche di notte vi è sole.
Corse pazze sulla sulla banchina con 95 (dico novantacinque) gradi sotto 0.
Ora siamo a casa, ma sembra di essere ancora al polo, i gradi sono poco meno e la neve è un po’ più.
Nonna dice della mia tosse, ma con questa gitarella è scomparsa.
Baci a tutti."

N.B. – Vedi con la forzata clausura come vola la fantasia, chè quanto ho scritto non è vero.

Care bimbe,

scrivo le presenti divagazioni per avere in questa forzata permanenza in casa, in questo incessante nevicare un’ora di oblio che mi tolga dal pensare a tante tristezze!
Dunque continuiamo: – Sempre a Montecarlo – Entrando nella sfarzosa sala dell’Opera; la consorte, poco pratica di teatri, si è fatta il segno di croce con discreta meraviglia degli occupanti i posti vicini all’ingresso laterale.
Io, poi, ho emesso un urlo straziante essendomi seduto (con aplomb) sulla poltroncina maledetta. Un chiodo, un accidente di chiodo con la punta rivolta verso il posto dove il sol tace.
L’ho trovato portando la mano alla parte lesa.
Credo che il pubblico abbia pensato che cominciassi io l’introduzione allo spartito.
Quando uscimmo dal teatro, intronati dalla grancassa e dai piatti, si entrò in un giardino e ci sedemmo su di una panchina per riposare un poco. Lo sbalzo dalla gran luce del teatro alla semioscurità del parco, fece si che non vedemmo la scritta: Colore fresco.
Maria si sciupò la parte sedentaria del suo magnifico abito mauve ed io la mia marsina.
Come fare?
L’unica cosa era di entrare all’albergo correndo.
Siamo entrati con la rapidità di ramarri, inciampando in clienti, camerieri, anzi ad una di questi io feci rovesciare un vassoio pieno di piatti con vivande. Nel rapido passaggio ne ho sentito l’odore stuzzicante.
Ci seguirono alcuni sino alla camera, ma tranquillizzati dal nostro silenzio tornarono ai loro affari.
Ci cambiammo e si scese nel salone da pranzo.
Nessuna merviglia per la nostra corsa, pare che il giuoco faccia fare di questi giochetti.
Zuppa di pesce – Maledizione! – Una spina mi si ficca in gola, forse per fare pendant col chiodo del teatro. La estirpo...Tacchino alla Vatel.
A questo punto, un cameriere passando dietro a noi lascia gocciolare un poco di brodo bollente nel collo di Maria.
Un urlo dell’assistente.
Pare l’eco del mio grido al teatro...
Perdute altre £ 10 al Casinò e perduto anche il portamonete del quale ero stato alleggerito per via.
Finalmente andammo a dormire anzi a vegliare sotto quella luce fulgidissima a un metro dal naso col quale vi saluto.
N. B. Non è vero niente.

(n.d.r. senza indirizzo e data – lettera inviata ai nipoti)

"Ieri all’alba, io e la nonna, inforcati due briosi cavalli – il Morello e Fragoletta – siamo corsi a spron battuto sino ad Abbiategrasso che abbiamo raggiunto senza tessera. Passati al galoppo per Gorgonzola per non essere asfissiati dall’odore, dirò meglio dal puzzo di quelle fabbriche di formaggio, così cari ad Ezio (marito di Elda figlia di Sacheri).
Fatta una sosta a Milano e un giretto al trotto attorno al Duomo di Gian Galeazzo Visconti.
Colazione all’Orologio.
Risotto – ossi buchi – cedri, ananas – Barolo – Barbera – Spumante Cinzano.
Vedendo dall’orologio grande, che è sull’entrata del ristorante, che erano le 20, abbiamo girato (!!!) i destrieri verso Pianfei, e alle 24,59 eravamo a casa. Non è vero niente, però è vero che scrivo con un pessimo pennino.

Baci giulivi dai nonni sportivi."

Pianfei, Pasqua ’948

Carissimi nipoti
Ieri mattina ho incontrato Albino, l’attuale portalettere,(questa persona è esistita veramente) e sentivo ogni tanto un suonare di campane che non sapevo se proveniva da lui o dal campanile.
Quando mi consegnò le vostre lettere, ho compreso che erano le campane di Gisella che suonavano a festa. Dan ! Dan ! Buona Pasqua ed il mio cuore ne fu rallegrato.
Sull’armonia dei sacri bronzi aleggiava la poesia di Marisa.
"Il torrente viene giù blandamente scorrendo fra erbe e fiori in dolce ritmo di dolci parole."
Nell’ultimo verso una parabola felicissima della neve eterna dalla quale scende perpetuamente l’acqua che va al mare. Brava Marisa che ha la visione poetica limpida e serena.
Gisella cara, hai scritto davvero un bel letterone con tante belle notizie, della tua salute, dei tuoi studi di fiori - di Pasqua. Le rime della tua poesia sono ancora ingenue, ma sono quelle che ti detta l’età novella.
Il tuo cuore semplice e buono traspare dai tuoi scritti ingentiliti, dai tuoi fiori e dalle severe vibrazioni delle sacre campane. Io ti consiglierei di copiare fiori dal naturale, dal vero può .... benissimo che tu abbia una vera disposizione per l’arte.
Per ora, nei momenti di riposo dagli studi più seri sarebbe un’occupazione che potrebbe, con i fiori, dare infine i suoi frutti. Grazie a tutti dei vostri auguri.
Ad Aldo ricambiamo i baci, a Mario per le campane che sembrano proprio quelle di Gisella.
A Papà... e Mamma i saluti più affettuosi.

Nonni
"