Critica

Rivista “EMPORIUM” – N° 71
Rivista Emporium 71
(quest’articolo del Colasanti è stato pubblicato su Emporium di Maggio 1910)

Giuseppe Sacheri cerca nella natura il sentimento e infonde nelle sua visioni di campagna e di mare il palpito di un’anima originale e profonda. Poeta prima che pittore, ove la natura comincia a parlare, ove essa comincia il suo canto, egli afferra le spunto e compie trionfalmente l’armonia, svolgendo con delicata e magistrale istrumentazione la frase appena accennata dagli alberi e dai poggi. Gl’intimi colloqui della luna con le vecchie mura e con le acque addormentate, il rombo, il tuono e l’urlo della bufera, le alate profezie del vento, l’ampia polifonia del mare, l’augusta immobilità e il silenzio delle montagne, il respiro dell’aria sui vertici che ascendono nello spazio e nella luce, ecco alcune delle infinite cose che dice la natura allo spirito del Sacheri, il quale, ce ne rivela la significazione e la verità entro un cerchio d’incanto. Romantico per sentimento, ma di un romanticismo sano e fecondo di commozione, l’artista ligure è classico nella forma. Il suo lavoro non è mai una fredda e precisa riproduzione dello spettacolo naturale, ma è invece una invenzione, un ritrovamento, una nuova aggiunta al gran coro della vita. Perciò i suoi paesaggi, nei quali la solidità della linea si associa alla delicata fusione dei toni, vivono artisticamente non solo per quelli che essi sono, ma anche per quello che appariscono. Essi ci rivelano che il pittore è andato spesso oltre la verità tangibile, che ha obbedito ad una forza superiore, ad una legge, la quale gli ha imposto di procedere oltre e lontano da ciò che cade immediatamente sotto il senso. Il paese allora non è più un pezzo di mondo su cui l’artista abbia gittato un suo velo per immobilizzarlo in un aspetto solo e monotono: è un pezzo di mondo che continua a vivere e a muoversi in tutte le sue parti e che tutt’insieme sente l’impressione di una nota dominante e ne risuona con un accordo unico, in cui ogni cosa mette la propria vibrazione. Il segreto di quest’arte non è tutto nella poesia dell’idea, esso consiste anche nella sintesi della rappresentazione. La caratteristica saliente di questo spirito è la malinconia. I cieli grigi della Danimarca, la grandi pianure olandesi, le colline del Piemonte, le rocce della riviera ligure ci appariscono soffuse di una uguale, dolcissima mestizia che tocca a volte i confini della potenza drammatica. Ma la tristezza è buona, e, se il balenio di una nota più vivace e vibrante ci ridesta nell’animo un rimpianto di cose lontane, quel fugace apparire che dilegua come una musica e spegne come un raggio che d’improvviso si offuschi, lascia nell’anima una scia di beatitudine. Tale è il significato dell’arte di Giuseppe Sacheri, la quale come le canzoni che esprimono la malinconia dell’anima popolare, ama il tono minore, parla con voce tenue e sommessa, non per ripetere, ma quasi per accompagnare da lontano la nota limpida e potente, la voce che suona dominatrice sotto la luce del cielo e dinanzi al riso delle onde.

Arduino Colasanti Arduino Colasanti, Storico dell’Arte (Roma 1877 – ivi 1935). Si occupò particolarmente del restauro e del riordinamento dei monumenti e dei musei italiani, essendo Direttore dell’Antichità e Belle Arti tra il 1919 e il 1928; fu responsabile della sezione di arte moderna dell’Enciclopedia Italiana e pubblicò vari saggi sulla pittura marchigiana e su Raffaello.


Corriere del Popolo – Genova, Martedì 11 Gennaio 1949 Meditazione sulla pittura di un genovese ottantacinquenne
Visitavo qualche giorno fa alla Galleria Martina di Torino una troppo folta “personale” di opere del decano dei pittori liguri, di uno dei più vecchi artisti italiani: Giuseppe Sacheri. L’autore di romantici “notturni” selenitici inspiratigli dal mar Tirreno, fra qualche settimana entrerà nell’ottantacinquesimo anno. Settant’anni di lavoro. Sta bene. Vive, metodico e distaccato d’ogni vanità, a Pianfei, un paesino della Provincia di Cuneo, tra campagne irrigue, praterie e vigneti. Sacheri ha lasciato la città nativa in cerca di quiete, né offeso né turbato dalle molte novità estetiche che si sono succedute, più o meno meteoriche od effimere, nell’ultimo mezzo secolo. Egli è sempre fedele al suo modo di osservare e di intendere il mondo, convinto che la terra, il cielo, le acque, gli alberi e le creature vive, uomini e bestie, sono una perenne testimonianza della Provvidenza, una benedizione sulla umanità che troppe volte, pure in sede estetica, bestemmia e rinnega il Creatore. Mostra esemplare, pure se, a tutta prima, si presenta anacronistica, remota cioè dal nostro sentimento, contrastante la nostra cultura e, perfino, la nostra eccitata ed esasperata sensibilità visiva. Arte di altri tempi? Troppo Fontanesismo in ritardo? Certamente. Nulla che rievochi né le angosce e gli ancora non quietati turbamenti di una tragedia non conclusa e che potrebbe, di colpo, rinnovare in maniere anche più apocalittiche le terrificanti ferocie devastatrici. Sacheri sembra che non possa o non voglia ricordare la guerra. Pare passato tra le ferocie e le crudeltà in uno stato di olimpica euforia. I suoi quadri, anche quelli tristi e desolati, sono silenziosamente tranquilli: paesaggi quasi tutti autunnali sotto pallidi firmamenti brumosi; gruppi di faggi, di querce e di pioppi monumentali; campagne appena arate; praterie declinanti dove pascolano magre mucche e viottoli percorsi da piccole greggi dirette a limpidi rivi o a minuscoli laghi; qua e là qualche figura di contadino controluce, curvo sotto gli antichi strumenti di lavoro, reduce alla cascina in una luce crepuscolare, si direbbe biblica, di preghiera, di salmo; e, tuttavia, una sicura forbitezza di pennellate, un accordo di grigie, brune e verdi tonalità tra qualche palpitare d’azzurro su gruppi di pecorine e di agnelli, color avorio, di una deliziosa presepialità. Una paesistica – insomma – quella dell’ottantacinquenne pittore, umilcorde, non pure nei soggetti, ma anche negli impasti e negli accordi cromatici: un’arte che s’afferma in una semplice e leggibile realtà e denunzia uno stato d’animo davvero trasferito nell’eterno. In questi paesaggi, più che il soggetto, qualche volta pateticamente scenografico, interessano l’organizzazione delle forme e la modulazione dei toni castigati, quasi sempre felicemente accostati, quando però si escludono certe deplorevoli crudeltà di colori stridenti, evidenti in qualche marina superficiale nella pennellata e nella spettacolarità scenografica. Arte dilettosa, piacevole anche, e mancante di quelle novità che – invece – urgono nelle pitture dei maggiori e dei più ammirati e discussi pittori del nostro tempo. Antiretorico pure nel culto amoroso di maestri della paesistica poetica – da Corot a Ravier, da Teodoro Rousseau a Fontanesi, il quale dei quattro è certamente il minore – il vegliardo genovese obbedisce più che al loro ormai più che secolare insegnamento, a sé stesso. Sacheri ha la certezza che l’arte è una continua esperienza, un faticoso divenire: non si preoccupa di quelli che possono giudicarlo un superato anzi un trapassato nel mondo della cultura, un sereno ma monotono ripetitore di motivi agresti che hanno fatto il loro tempo e che possono fare sorridere i dipintori dell’esasperazione e gli scultori del deforme. Comunque giudicate nella gerarchia della pittura viva, le opere del Sacheri sono approvabili e degne di lode se non altro per la calma e contegnosa difesa della semplicità, della chiarezza e dell’ordine.

Emilio Zanzi Emilio Zanzi, critico d’arte italiana nacque nel 1886 e morì nal 1955. E’ stato assessore alle Belle Arti presso il Comune di Torino.


GIANFRANCO BRUNO – LA PITTURA IN LIGURIA DAL 1850 AL DIVISIONISMO – 1982 PERSISTENZE OTTOCENTESCHE E NUOVI INTENDIMENTI
Giuseppe Sacheri Personalità assai ricca, la cui fervida presenza accompagnò i maggiori rivolgimenti culturali e artistici dell’arte di fine secolo e dei primi decenni del novecento in Liguria, fu Giuseppe Sacheri. Perdute le opere di grande interesse esposte nel 1898 all’Esposizione Nazionale di Torino, opere di tecnica e di ispirazione divisionistica, in cui l’artista in una severità costruttiva degna del miglior verismo naturalista orchestrava cromie consuete alla sua splendente tavolozza, il percorso di Sacheri non appare segnato da punti salienti, e si risolve in una elaborazione continua del suo fervido talento cromatico, sui consueti temi del paesaggio e della marina. Tuttavia Sacheri, a differenza di Figari che si lascia prendere la mano dalla strumentazione pittorica, esercitò generalmente un maggior controllo sulle proprie modalità espressive, e in lui esiste una problematica contenutistica e di linguaggio, cui quasi sempre le opere si rapportano. Al di là dei ipinti nei quali l’artista sconta il peso del troppo invadente talento, esiste una sua produzione, continuativa nel tempo e costantemente sorretta sa una reale esigenza espressiva, nella quale egli sviluppa doti di riflessione e di abbandono sul motivo naturale. Generalmente – a parte le ovvie eccezioni – queste più autentiche qualità si rivelano nelle opere di minor dimensione. Certi scorci di prato, di un tenue verde in cui s’accampa la visionaria presenza d’alberi sul candore abbacinato del cielo: opere di prima esecuzione, senza pentimenti, di materia scabra nella ricchezza dell’impasto, decantato il colore in una viva sensibilità per la luce naturale. Le marine terse, spoglie di particolari e impostate con spatolate sicure di colore di incredibile luminosità nel fiorire degli azzurri, dei bianchi splendenti, dei neri. E poi le opere nate dalla memoria o durante i soggiorni nel Nord Europa, in Olanda, in Danimarca: dipinti di un realismo paesistico potente, d’impatto pieno di colore che spiana prati percorsi da acque, rigagnoli di fronde sul cielo cupo delle nordiche stagioni. Un dialogo intenso che Sacheri intuisce con la natura del Nord, da cui rimane affascinato, e con i suoi pittori, soprattutto quel Jacob H. Maris che è tra i talenti migliori dell’arte dei Paesi Bassi, ma anche con Matthis Maris, con Breitner e persino Mauve. Inconsueto itinerario di un artista che muove sulle orme già calcate dal giovane Van Gogh; e strane analogie presentano le opere olandesi del Sacheri con i dipinti giovanili del grande olandese, nelle tele di paesi con figure, scialbo di canali densi di pasta greve sotto le ramulate trame vegetali: per ricostruire un percorso a ritroso, laddove Vincent mirava ad un moderno dramma dell’uomo e delle cose, verso l’incantato lirismo di Ruisdael, di Hobbema, pittori amati dal Sacheri. Avesse perseguito questa linea di verace naturalismo, di lirico incanto nella materia densa di uno spazio d’acque e di luci, Sacheri: altro destino forse il naturalismo ligure avrebbe offerto la sua opera, altra risonanza al pur velido lavoro dell’artista . Come a Figari, a Sacheri nocque il troppo talento: il suo lungo percorso è segnato di altezze intravviste, di alcune rarefazioni di più alta poesia.

Gianfranco Bruno Bruno Gianfranco, Direttore della Accademia Ligustica di Genova neli ultimi anni del secolo scorso. Critico d’arte, a lui sono dovute varie pubblicazioni riguardanti pittori liguri.


LA STAMPA – Torino, 17 Gennaio 1927
Quei cieli fantastici, voluti, d’una irrealtà previatesca, composti in studio più alla maniera di acquafortista che di pittore; quel suo romanticismo un po’ macabro che si compiace, come notò il Colasanti, di “intimi colloqui della luna con le vecchie mura e con le acque addormentate”, di tuoni e d’urlo di bufera; quel suo idealismo che lo spinge oltre la verità sensibile, sono gli elementi che hanno dato fama al Sacheri e che nello stesso tempo di continuo ne insinuano la sincerità. E’ facile allora ch’egli cada nella retorica e nella letteratura dimenticando alcune sue qualità ottime di pittore. Anche questa sala di ben trentadue pitture le dimostra. Ogni suo quadro è più ed è meno di un quadro. Vuol essere un allegoria, vuol suscitare in chi contempla un sentimento. Ma al sentimento si giunge più facilmente – e più signorilmente – per suggerimenti graduali che per declamazione. se non che, anche fra le pesantezze e gli ingombri di un intellettualismo bockliniano, non è raro che dalla composizione pittorica del Sacheri, si liberi un senso di severa e solenne poesia, come nella vasta tela Quiete, dove lo specchio sognante dell’acqua chiusa tra rive immote, le masse cupe forzate degli alberi, il cielo estatico incombente come un peso, tutto conferisce a creare un’atmosfera ossessionante di abbandono e di solitudine.

mar. ber. (Marziano Bernardi)

Torino – Galleria d’arte Martina – Recensione del 1948
“Pittura d’altri tempi: pittura dove tu scorgi il riflesso di una vita dai lunghi pacati riposi, il senso di una civiltà che fermamente credeva, ed era illusione, al suo perpetuarsi.” “Soltanto paesaggi: ma questi cieli brumosi, ovattati, queste tenere radure fra i boschi, questo scendere di armenti da un rivo o il ritorno degli uomini alle case nelle prime ombre della sera, questo pallido occhieggiare d’azzurro di là dai pioppi esili che chiudono le distese prative, ci dicono il compiacimento dei silenzi agresti, dei solitari colloqui con le cose naturali.” “Questa nota di gentilezza naturalistica, al tempo in cui l’eco delle esperienze impressionistiche francesi ancora vibrava nell’atmosfera pittorica europea, sempre distingueva nelle mostre collettive il Sacheri fra i veri espositori, ed anche oggi che in diverso clima, nuove esigenze spirituali propongono con risultati per ora incerti altri linguaggi è gradito ritrovarla, non senza il rimpianto di una certezza perduta, che non si sa ancora come sarà sostituita.”

Marziano Bernardi Marziano Bernardi (1897-1977) critico e storico dell’arte, naque a Torino, e si occupò sin dal 1920/21 di letteratura con scritti su Leopardi e su Flaubert e collaborò inoltre alla Rivista Europe di Romain Rolland. Nel 1924 fondò con Lorenzo Gigli la rivista torinese Il Contemporaneo e un anno dopo accettò, insieme a Mario Gromo, la direzione del Teatro di Torino. Intorno agli anni trenta entrò a far parte de ” La Stampa ” come redattore e critico d’arte e da questo momento la sua attività si svolse all’insegna di una costante dedizione rivolta verso l’arte figurativa. Fra le molte mostre alle quali collaborò ricordiamo la retrospettiva di Antonio Fontanesi (1932) nel cinquantenario della morte, la vasta esposizione di opere di Felice Casorati nel 1937 e la significativa riproposta della pittura piemontese dell’ottocento attraverso le rassegne allestite nel Salone de La Stampa. Lasciata La Stampa nel 1944 vi rientrò definitivamente nel 1954, dopo aver collaborato per diversi anni alla Gazzetta del Popolo. Suoi scritti sono inoltre apparsi su vari giornali, portando avanti il proprio discorso, la propria visione dell’arte, suscitando talvolta aperti dissensi, ma rimanendo sempre figura di primo piano della cultura torinese e nazionale e nel 1977. Nella sua lunga carriera Marziano Bernardi aveva pubblicato una trentina di volumi Al di là di ogni valutazione sulla sua considerevole opera di giornalista e di critico d’arte rimane l’immagine, spoglia di ogni retorica, di un uomo in continuo conflitto con se stesso e con la realtà circostante, pronto a denunciare in ogni occasione il progressivo disgregarsi di quei beni culturali per i quali si era battuto per tanti anni, un uomo che in un pomeriggio di maggio, nel guardare lo stupendo scenario della collina torinese, disse con una punta di rammarico vorrei essere sepolto sul Monte dei Cappuccini, ma non è possibile.


ROCCHIERO VITALIANO – Scuole, gruppi, pittori dell’Ottocento – 1981
(Biblioteca Berio – Genova – Gen. D. 144)
Scuole, gruppi, pittori dell Ottocento
SECONDO OTTOCENTO


Giuseppe Sacheri

Giuseppe Sacheri (Genova, 1863 – Pianfei 1950) studiò col fiorentino Arturo Moradei, spiritoso evocatore di tipi del contado ravennate, per seguire poi i corsi dell’Accademia Albertina a Torino e presentarsi ufficialmente in pubblico nel 1881 alla Promotrice Torinese. Due anni dopo espose In ottobre e Mattino con nebbia alla XXXII Promotrice di Genova, sua città natale. Al nome di Genova e di Colombo è legata la sua prima grande affermazione di marinista ottenuta con la vincita del Concorso Nazionale del 1892 per un quadro raffigurante Il porto di Genova durante la feste colombiane. La mostra indetta nell’occasione aveva richiamato l’attenzione dei centri artistici e culturali sull’ambiente genovese e sul Sacheri che figurava degnamente accanto ai maggiori artisti locali ed a quelli delle altre regioni: Avanzi, Bazzaro, Cecioni, Cavalleri, Costa, Milesi, Gignous, Fragiacomo, Segantini e Pelizza. Impadronitosi della forma e del colore del mare aveva composto, dopo quel trionfo, un abbondante ciclo di marine deliberatamente dipinte, con rinnovata tecnica ed ardimenti costruttivi dettati dalle inevitabili smanie giovanili, nel solco dell’audacia e nel ricordo del divisionismo. Il richiamo al divisionismo, eccezion fatta per la sostituzione della pennellata a mosaico con quella modellatrice, si doveva vedere chiaramente nelle opere esposte nel 1898 alla Mostra di Belle Arti, della memorabile Esposizione Nazionale di Torino, visto che i vecchi testi ci hanno tramandato Notturno, tutto veemenza violacea, Lo stagno, meno monotono, benché turchiniccio. Dello stesso colore, ma più cupo: Comincia il temporale e Maremma adriatica, monocromo notturno illuminato dalla luna. Infine la tetra ispirazione della tela: La nave della morte. Ugo Fleres aveva in quell’anno collocato il Sacheri fra gli audaci della mostra e fianco di Pelizza, del ligure Nomellini, del genovese Angelo Vernazza, del Dall’Oca Bianca e del Mancini. Innegabile efficacia innovatrice doveva scaturire dalle opere del nostro pittore se lo stesso critico commentava: ” Crudo e dissodante è pure il Sacheri; ma talvolta il quadro balena al suo pensiero e, attraverso alle esagerazioni, meglio alle aberrazioni ottiche, il quadro giunge a rilevarsi… La Nave della Morte (712) è il quadro del Sacheri che io preferisco. La fattura è bizzarra, anzi stramba quanto negli altri, e il mare sembra uno sviluppo di nastri variopinti; ma la tristezza del tema rende meno arbitraria quella colorazione fosca, e l’indole fantastica del tema stesso scema la illogicità dell’effetto. La Nave della Morte è un vascello fantasma come lo idearono Edgar Allan Poe e Riccardo Wagner, per citare solo i più famosi; esso varca il flutto orrendo, senza porto e senza faro, sospinta dai venti che gonfiano le sua vele in forma d’ali di vampiro. E’ un sogno, anzi un incubo”. Eppure malgrado lo sconcertato giudizio del buon Flores la pittura di Giuseppe Sacheri s’imponeva, nello stesso anno, all’Esposizione Internazionale di Monaco, col quadro Notte di Marzo, acquistato dal Museo di Weimar. Aveva così inizio un intenso periodo di affermazioni all’estero. Tappe principali: Lima, Weimar, Cracovia, Vienna, Parigi, Bruxelles, Dresda, S. Francisco e Guajaquil. In Olanda e Danimarca aveva contemplato mari dalle acque misteriose e paesaggi immateriali nelle nebbie crepuscolari: un’atmosfera di sogno d’una malinconia che spesso rasenta l’angoscia. In intimo colloquio con la natura nordica, aveva dipinto gruppi di opere di non comune interesse, le cosiddette di “maniera olandese”, fra cui le molteplici visioni del Baltico, di Utrecht, di Dordrecht, di Ruick, del Falster, di Skiorringhe. In patria Giuseppe Sacheri aveva stretto intimi rapporti d’amicizia col gruppo dei pittori di Sturla: Angelo Costa, Edoardo De Albertis, Andrea Figari, Federico Maragliano, Plinio Nomellini e dei poeti e letterati che frequentavano il cenacolo artistico presso la Trattoria dei Mille sulla marina. Era il tempo del riconoscimento unanime della sua arte e del successo del sua pitture di paesi e di marine che dovevano poi trovare posto nelle più importanti gallerie pubbliche: a Roma Partenza per la pesca; a Genova Poesia di Liguria e Chiaro di luna a S. Margherita; a Torino Quando il sole è disceso nel mare; a Milano Bogliasco. La nota viva nel paesaggio e nelle marine del Sacheri è data dalla freschezza e dalla fragranza del vero che riassume tutti gli spettacoli della natura: dalle dolci albe autunnali ai meriggi pieni di sole; dai tramonti carichi di oro alle notti illuminate dal plenilunio; dalle spiagge dei fiordi velati nebbie alle riva del mare sferzate dai venti impetuosi. Talvolta l’interpretazione è di origina piuttosto letteraria e conservatrice anziché realistica e scapito della schiettezza della creazione, anche di non pochi soggetti. Egli ama inoltre la rappresentazione del cielo e delle nuvole preponderante sul resto. E’ sull’ampiezza dei cieli e sulla grandiosità dei banchi delle nuvole che ogni altra parte del quadro è calcolata e composta. Sia che si specchino nei canali olandesi, sia che si distendano lungo le vette alpine, sia che sovrastino l’impeto delle onde del mare, sia che si sfrangino al soffiar della brezza, sono le nubi che trionfano quasi sempre nelle sue tele e che, basse e dorate; alte e bianche; cenerognole e pregne di pioggia; nere portate dai venti, infondono senza dubbio alle stesse un senso di verità e di grazia. Del resto egli vuole subordinare scrupolosamente l’episodio umano al significato puramente paesistico delle opere considerandolo una semplice accidentalità della composizione. In ciò ricalca idealmente il concetto del magnifico paesaggista genovese Ernesto Rayper che nei suoi prati, nei suoi boschetti, nelle sue boscaglie, sulle sue rive toglie ogni ombra umana contaminatrice della natura. Ad evitare che una qualche scena del mondo esteriore riuscisse a distrarlo dalla contemplazione della natura Giuseppe Sacheri si era rifugiato a Pianfei innanzi all’augusta severa immobilità ed al profondo cristallino silenzio delle montagne. Ai piedi di quelle montagne visse per circa vent’anni nel piccolo centro agricolo del monregalese. Sulla facciata della casa, dov’egli lavorò lungamente, una lapide è stata scoperta per rendergli omaggio. Al pittore fecondissimo, al ligure che spegnendosi lasciò per testamento importanti opere alla città di Genova, rendiamo anche noi omaggio riconoscendo che egli ha saputo imprimere un suggello di bellezza e di poesia a tutto ciò che ha dipinto, talvolta sotto il misterioso anagramma di “Cherias”.

Vitaliano Rocchiero Rocchiero Vitaliano fu autore di parecchi libri sull’arte pittorica italiana e ligure. Noto critico d’arte genovese del secolo scorso.
Giuseppe Sacheri
Pubblicato il 2 Giugno 2014 Da Laura Fanti




Oggi 2 giugno, festa della Repubblica, dedico due righe a un artista italiano dimenticato.

Il viaggio ha fatto da cornice all’esistenza di Sacheri, il quale, nato a Genova nel 1863, si trasferisce ben presto con la famiglia a Ravenna, dove riceve i primi rudimenti pittorici dal pittore Arturo Moradei, e poi a Torino, dove inizia la sua vera formazione artistica con Lorenzo Delleani, che lo introduce alla pittura di paesaggio.

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Già alla metà dell’Ottocento, artisti come Antonio Fontanesi e Giuseppe e Filippo Palizzi diedero nuovo impulso al paesaggio, non più visto come una quinta teatrale ma come il protagonista assoluto della scena, e iniziarono una lenta ricerca sulla libertà della pennellata. Con Sacheri avviene un passo ulteriore: i suoi dipinti mostrano, rispetto ai suoi maestri, una maggiore spregiudicatezza e varietà di colori, una maggiore libertà, non tanto nella scelta del soggetto quanto nel modo di interiorizzarlo e di sprigionarlo sulla tela.
Il mare e la campagna sono i suoi soggetti preferiti, scenari privi della presenza dell’uomo, vicini all’estetica del secondo Romanticismo e del Simbolismo, più che al primo Romanticismo, dove l’uomo era sempre presente ed era rappresentato nella dimensione dell’infinitamente piccolo rispetto all’infinitamente grande dell’universo (valga uno per tutti l’esempio di Friedrich).
Sacheri amava molto la pittura simbolista, cosa che in parte stupisce, i suoi preferiti erano Khnopff, l’artista belga dalle raffigurazioni morbose ed evanescenti, e Von Stuck, l’artista tedesco dai temi dionisiaci.
Tuttavia, nulla del mistero simbolista sembra appartenere al suo lavoro, che appare, al contrario, caratterizzato da una lucida visione della natura. Fino ad un certo punto...Sacheri non è un vedutista, sì, dipinge dal vero ma la calma di una visione distaccata non gli si addice. I suoi numerosi dipinti di mare, che ritraggono spesso borghi attorno a Genova come Bogliasco e Camogli, superano il confine della veduta e diventano espressivi, le onde impetuose, la schiuma del mare sbattuta in faccia allo spettatore.
La luce ha sempre un ruolo importante –seppur non portante– e riesce a fondersi in colori accesi come mai nella pittura italiana. Credo che questa sia l’innovazione più forte dell’artista, ossia l’esser riuscito a far vivere di luce propria i dipinti, senza uso di chiaroscuro, spesso senza presenza di fonti luminose, ma assimilando interamente la lezione impressionista, usando colori molto vivi come il verderame, la terra di Siena, l’ocra e il blu pervinca, che accendono il quadro senza bisogno di altro.
Un altro elemento che mi colpisce tantissimo è la finitezza delle sue composizioni, anche quando si rasenta l’abbozzo, la netta importanza di ogni angolo, l’assenza di trascuratezza che scaturisce dalla sua mente limpida e, almeno apparentemente, per nulla pervasa dall’inquietudine. Ci sono, d’altra parte, dei lavori che appaiono meno studiati, misurati, dove l’artista ha lasciato maggior spazio al proprio estro: sono le marine meno "descrittive", dove il colore è più libero e la pennellata più dinamica.
Secondo alcuni studiosi, le opere più ispirate di Sacheri sarebbero quelle del periodo precedente al trasferimento in Piemonte, affini alla pittura di paesaggio scandinava e al modo nordico, per così dire, di affrontare il simbolismo. Nelle opere degli anni Dieci, che seguono il viaggio in Olanda e che saranno esposte più volte – anche alla X Biennale di Venezia-– la pennellata è densa, molto materica, a volte sostituita dalla spatola. I numerosi viaggi nell’Europa del Nord contribuiscono alla definizione dell’originalità della sua estetica, che si libera al contempo dell’eredità ottocentesca e fontanesiana ma anche di quella impressionista e poi nomelliniana, per giungere ad una matura sintesi del simbolismo. Un simbolismo sui generis, che, pur derivando da artisti come Böcklin o Von Stuck, si distacca notevolmente dai loro accenti di morbosità e dai loro modelli. Sacheri non si serve mai di figure, non ha bisogno di raccontare o di significare, non vuole riferimenti letterari, il suo punto di partenza resta sempre un’impressione visiva arricchita da fremiti di colore, e la scelta del quasi monocromo o di una tavolozza più varia definisce il suo modo di essere simbolista, empatico con il modello. Ecco perché nelle cosiddette "opere nordiche", realizzate in Olanda e Danimarca, si assiste ad una maggiore consapevolezza, dove la libertà di colore e della sua origine, diventa anche scioltezza di mano.

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Estratto dell’articolo pubblicato su "Ottocento", febbraio 2009